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8 MARINA DELL’OMO La basilica di San Gaudenzio dalle pagine del Trionfo di Gerolamo Antonio Prina: un percorso di parole e immagini Pietro Francesco Prina, le stampe, gli incisori Il volume sulla basilica di San Gaudenzio, redatto nel 1711 in occasione del trasporto del corpo del santo nello scurolo, non è solamente la relazione della festa della traslazione, secondo la consuetudine in questo genere di eventi, ma si pone anche quale fonte primaria e inedita per la lettura a quella data degli arredi figurativi della chiesa. Infatti il racconto dello svolgersi della cerimonia è inframmezzato a un’accurata descrizione dell’edificio, attestante già la maggior parte degli apparati oggi ancora esistenti.1 A ulteriore complemento la parte verbale è accompagnata dalla visualizzazione, attraverso una serie di stampe incise, dei solenni allestimenti realizzati per la citata festa e dell’esterno e interno dell’edificio simbolo di Novara: immagini che costituiscono una sorta di corredo “fotografico”, testimoniante uno stato di fatto antico, registrato contestualmente al «visibile parlare» dell’evento della solenne funzione, già fissata «eternamente» dalla relazione stampata «in speculare contrapposizione all’effimero dell’apparato e dello spettacolo». L’idea di aggiungere tali immagini era scaturita dalla volontà dei Fabbricieri già «sul finire delle stampe» del volume, come ne dava notizia lo stesso relatore in appendice alla cronaca della cerimonia «perché si vegga nelli altrui Disegni dall’occhio quanto ho voluto rappresentare con la mia penna alla Immaginativa del Grande».2 Che la realizzazione dei rami non fosse nata con la prima stesura del Trionfo lo attesta anche la non contemporaneità dei fogli, come dimostrato dall’incisione con la visione dello scurolo di mano di Simone Durello, datata 1712, accanto alle immagini della facciata e dell’arca datate 1711. La presenza poi di stampe diverse nelle due differenti edizioni del volume – la prima edita a Milano presso Malatesta, la seconda a Novara presso gli eredi Caccia – ma anche nella medesima edizione, potrebbe significare il loro carattere di vero e proprio supplemento aggiunto, non organico al testo, nell’ambito di un’operazione portata a 1 Si veda al riguardo: M.L. TOMEA in Museo Novarese. Documenti studi e progetti per una nuova immagine delle collezioni civiche, catalogo della mostra a cura di M.L. Tomea, Novara 1987, pp. 279-280; D. TUNIZ, Il Trionfo di San Gaudenzio, in La basilica di San Gaudenzio a Novara, a cura di R. Capra, Novara 2010, pp. 203-208. 2 G.A. PRINA, Il Trionfo di San Gaudenzio [Milano 1711], Novara 2009, pp. 137-139. Per i commenti al riguardo: M.L. TOMEA in Museo Novarese…, p. 280. 9 compimento in seconda battuta non solo per un ripensamento degli stessi Fabbricieri, ma anche per la fretta di dare con la cronaca dell’evento un’opera finita in tempi vicini alla traslazione.3 Tutte le stampe in questione, realizzate da incisori diversi di area milanese, erano state delineate dall’artista novarese, residente in Milano, Pietro Francesco Prina, artefice di vari arredi stabili della chiesa e ideatore degli apparati della festa del trasporto.4 Sotto quest’ultimo profilo il suo ruolo dovette essere assai significativo e quindi non stupisce ritrovarlo anche per il corredo illustrativo del volume. A conferma di tale sua partecipazione è anche un’ulteriore immagine, da lui stesso ideata in occasione della festa, raffigurante San Gaudenzio prega la Vergine per la città di Novara, incisa da Gaetano Bianchi, da identificare con quella ora al Museo Civico novarese: di essa dava notizia Gerolamo Antonio Prina, nel descrivere la cerimonia specificando che era stata attuata «per particolare devozione» di un committente non identificato e che «fu in foglio grande per distribuirsi gratis in accrescimento della divozione del popolo alla venerazione del Santo Vescovo protettore».5 L’affidamento dell’incarico al Prina artista, che il 27 dicembre 1711 riceveva un pagamento «per spendere nella faccenda dei libri che si fanno stampare»,6 si motivava, oltre che per le origini novaresi, per quelle sue capacità eclettiche che peraltro appartenevano ad altri maestri a lui coevi lombardi, quali Cesare Fiori o Ambrogio Besozzi, entrambi coinvolti in attività svariate che spaziavano, pur con livelli qualitativi diversi, dalla pittura all’invenzione di apparati effimeri alle incisioni.7 La scelta degli incisori del volume, conferma ulteriore dell’adesione della cultura figurativa di Novara agli indirizzi lombardi più aggiornati, fu presumibilmente pilotata dallo stesso Prina. La sua residenza e il suo radicamento a Milano facilitava i contatti con gli incisori qui presenti, i cui nominativi si ritrovano anche in altre cerimonie pubbliche tenutesi nel capoluogo lombardo. Esemplari in que3 Per il problema delle stampe diverse: ibidem. Sul Prina si veda in ultimo con riferimenti bibliografici precedenti: M. DELL’OMO, Stefano Maria Legnani, pittore dello scurolo e della cappella della Madonna di Loreto, in La basilica di San Gaudenzio a Novara, pp. 181, 182. Per le ultime novità documentarie: M. DELL’OMO, S. MONFERRINI, Artefici del marmo tra Seicento e Settecento nella Diocesi di Novara: nuovi documenti dagli archivi, in questo stesso numero di “Novarien.”. 5 Per la citazione della stampa nel Trionfo: G.A. PRINA, Il Trionfo di San Gaudenzio, p. 118; per la stampa: M.L. TOMEA in Museo Novarese…, pp. 279-280. Su Gaetano Bianchi si veda D. GIANNONE, Incisori lombardi del XVII e XVIII secolo nella raccolta Frasconi di Novara, in “Grafica d’arte”, 1 (1991), p. 5. Quanto al Prina anche come esecutore di stampe si veda l’immagine con l’altare del Monserrato, da lui disegnato: M. DELL’OMO, Versatilità e fasto barocco nelle opere novaresi di Pietro Francesco Prina per le chiese del Monserrato, di San Gaudenzio e di San Giovanni Decollato, in “Novara da scoprire”, Novara 1990, pp. 54, 58; M. AIROLDI TUNIZ, Devozioni e giochi di potere intorno a un corpo santo. La vicenda del canonico Avogadro, in “Novarien.”, 31 (2002), p. 118. 6 ASNo, Fabbrica Lapidea di San Gaudenzio, Ordinationes, t. ???? 7 Su Cesare Fiori: P. BELLINI, Le incisioni tratte da soggetti di Cesare Fiori, in “Rassegna di studi e notizie”, XIV (1987-1988), pp. 19-52; S. COSTA, Dans l’intimité d’un collectionneur. Livio Odescalchi et le faste baroque, Paris 2009, pp. 2312-237. Su Ambrogio Besozzi: D. MINONZIO, Contributi per Ambrogio Besozzi, in “Rassegna di studi e notizie”, IX (1981), pp. 359-397; P. BELLINI, in “Bartsch”, 47 (2005), 3. Si veda anche: D. GIANNONE, Incisori lombardi del XVII e XVIII secolo…, pp. 3-9. 4 10 sta direzione le presenze di Paolo Bianchi e di Simone Durello. Il primo, nipote del ben più noto Giovanni Paolo, fu, per esempio, l’artefice delle incisioni per la relazione delle esequie funebri della sovrana Maria Anna d’Austria tenutesi nella stessa Milano nel 1696, con apparati progettati da Giovanni Ruggeri;8 il secondo, oltre a partecipare a numerose significative imprese, incise l’Antiporta per le esequie di Filippo IV di Spagna nel 1665.9 Questi personaggi erano rinomati nel campo dell’incisione, come l’Agnelli, che si firmava senza nome di battesimo, ma a quelle date presumibilmente uno dei figli di Federico, a rappresentare l’antica e illustre stamperia presente e operante nella città fin dal XVII secolo.10 Così è suggestivo riconoscere in Girolamo Ferroni l’artista incisore dell’arca di San Gaudenzio che si firmava con le sole iniziali H.F, già attivo, oltre che nella pittura, anche in questo genere.11 La serie delle stampe accompagna, seppure non organicamente, come già abbiamo detto, il percorso verbale descrittivo della chiesa e della festa e fornisce una lettura precisamente indirizzata ai luoghi che sono reputati significativi ai fini della visualizzazione del trionfo di San Gaudenzio. Ciascuna delle immagini suggerisce differenti suggestioni e pone problemi diversi anche relativamente alla lettura degli apparati ancora esistenti. Per tutte le stampe appare evidente il legame con la cerimonia della traslazione, per alcune più immediato, per altre più indiretto. La scelta di quanto illustrato è da comprendere in rapporto alle finalità già evidenziate da parte dello stesso Gerolamo Prina, ovvero una miglior comprensione del “parlato verbale”. Se l’idea del corredo figurato maturò successivamente al testo scritto, le opzioni non furono casuali ma seguirono una precisa direzione. I momenti portanti dell’evento festivo erano privilegiati ma accanto erano anche riproduzioni di invenzione e di corredo. A quest’ultima accezione rispondono la pianta della chiesa, San Gaudenzio in gloria e San Gaudenzio. La planimetria della basilica, realizzata dal solo Pietro Francesco Prina, mostra prevalentemente un carattere didascalico e propedeutico, posta a compendio della descrizione, spiegata da alcune didascalie, per le quali il dettaglio individua l’autore del disegno, Pellegrino Tibaldi, e i luoghi del trionfo, lo scurolo con la sua cappella antistante. Il foglio con San Gaudenzio in gloria, antiporta del volume, raffigura al contempo un momento della festa, la solenne processione dell’arca, e l’apparizione “misti- 8 Sul Bianchi: A. BERGOMI, G.P. Bianchi, incisore ed editore del XVI secolo, in “L’arte a stampa”, 3 (1978), pp. 8-13; D. GIANNONE, Incisori lombardi del XVII e XVIII secolo…, p. 5. Sull’apparato citato si veda in ultimo con bibliografia precedente: A. BARIGOZZI BRINI, scheda n. 43, in Le capitali della festa. Italia settentrionale, a cura di M. Fagiolo, Roma 2007, pp. 233-234. 9 T. TRIACA FABRIZI, Simone Durello incisore lombardo, in “Rassegna di studi e notizie”, XIII (1986), pp. 707-734. 10 Sugli Agnelli: P. BORGO CARATTI, La famiglia di Agnelli tipografi in Milano dal 1625 ad oggi. Cenni storici-biografici coll’albero genealogico della famiglia, Milano 1898. 11 E. VILLANI, Contributi per l’opera artistica di Gerolamo Ferroni, in “Rassegna di studi e notizie”, 10 (1982), pp. 389-409; L.A. COTTA, Museo Novarese. IV Stanza e Giunte manoscritte, a cura di M. Dell’Omo, Torino 1994, pp. 108, 126-127. 11 12 ca” del santo, che, dotato dei simboli episcopali, osserva dal cielo, sospeso su una nube, il fastoso spettacolo che si svolge in occasione del trasporto del suo corpo terreno.12 È una pagina in parte di invenzione, nella rappresentazione gloriosa del patrono novarese. Ma il senso intero dell’evento vi viene interamente compendiato: la sacra e ideale visione convive con la realtà della traslazione, con la folla rappresentata accanto alla chiesa allestita e agli edifici circostanti con i loro fastosi apparati esposti – palchi teatrali da cui assistere all’ avvenimento –, il corteo che, nel brano del trasporto dell’arca, riesuma l’immagine di quello milanese di San Carlo per la fine della guerra dei Trent’anni:13 una summa dei temi prospettati all’interno del testo, introdotti anche visivamente e non solo dalle parole scritte. Penso in particolare alla suggestiva descrizione operata nel Trionfo relativamente alla processione attraverso le strade con le case ornate «con apparati di pompa […] le tappezzerie chi di Fiandra chi di damasco chi d’altri drappi di seta, lasciando cadere dalle finestre preziosi Tapeti col farsi vedere in più luoghi belle cascate di zendadi».14 L’immagine con San Gaudenzio, ritratto in atteggiamento benedicente, vestito in abiti pastorali, con lo sfondo della veduta della cattedrale e della stessa chiesa a lui titolata, non presenta le firme di incisore e autore, sebbene la sua matrice, nella basilica insieme ad altre, figuri come delineata dal Prina. Questa stampa non sembra porsi in evidente rapporto con la festa vera e propria, ma la sua presenza si pone come essenziale, nella rappresentazione del soggetto protagonista del volume, non raffigurato nella gloria ma nella funzione di protettore della città. La sua rappresentazione iconografica parla in senso milanese e richiama con tutti i dovuti aggiornamenti temporali il gonfalone di Sant’Ambrogio a Milano:15 un’immagine ripresa anche in ambito novarese nell’incisione con il venerabile Carlo Bascapè di Giovanni Paolo Bianchi su disegno di Melchiorre Gherardini, ove, intorno al prelato, si dispongono, entro cartigli retti da angioletti, scene dalla sua vita.16 Anche se non abbiamo riscontri diretti, è tentante identificare il nostro rame con la riproduzione di parte dello stendardo, ora disperso, realizzato per la solenne traslazione. La tipologia del viso del santo si discosta da quella del repertorio del Prina pittore, nel confronto con l’immagine di San Gaudenzio in gloria e con quella di San Gaudenzio prega la Vergine per la città di Novara, nella presenza di una maggiore raffinatezza linguistica che appartiene anche alla veste che lo avvolge. Si potrebbe dunque pensare che l’artista novarese si sia attenuto fedelmente al modello del citato stendardo, riprendendo anche nei dettagli l’immagine del santo. A ulteriore conforto di questa ipotesi è il raffronto con la descrizione dell’ap12 La matrice di questa stampa non risulta tra quelle citate dalla Tomea nel suo commento della stampa del Museo Civico di Novara. 13 C. BOCCIARELLI, in Le capitali della festa. Italia settentrionale, a cura di M. Fagiolo, Roma 2007, pp. 212-213. 14 G.A. PRINA, Il Trionfo di San Gaudenzio, pp. 67-68. 15 Si veda in ultimo: R. SACCHI in Ambrogio. L’immagine e il volto, catalogo della mostra, Venezia 1998, pp. 73-74, con bibliografia precedente. La stampa con San Gaudenzio non riporta visibile il nome dell’incisore. 16 D. GIANNONE, Incisori lombardi del XVII e XVIII secolo…, p. 5. 13 parato nella relazione della festa, come «ricchissimo Stendardo nuovo di tela d’argento, sopra di cui compariva a finissimo ricamo di sete e oro l’Immagine di S. Gaudenzio Pontificalmente vestito in atto di benedire la città, che pure con lo stesso ricamo restava a’ piedi del Santo […] entro belli intrecci di Simboli esprimenti, o le Virtù, od i Miracoli del Glorioso Pastore».17 Il drappo era stato realizzato immediatamente prima della cerimonia, come si evince dalla nota degli ordinati della Fabbrica Lapidea in data 21 marzo 1711: in questa occasione Filippo Avogadro veniva incaricato di farne fare il progetto a un pittore milanese non identificato,18 verosimilmente ricercato nell’orbita di Stefano Maria Legnani, il grande protagonista della cultura figurativa lombarda in quell’ambito cronologico, per altro attivo sulla scena novarese, in anni precedenti, nella stessa basilica gaudenziana.19 La sua perdita non permette ulteriori illazioni, anche relativamente a sue eventuali relazioni con il rame in questione. Tuttavia è possibile immaginare che la sua iconografia non si discostasse molto da quella espressa in questo genere di arredi, che in terra novarese avevano a sicuri referenti i modelli milanesi, quali quello citato di Sant’Ambrogio, con i dovuti aggiornamenti di gusto. Di diretto riferimento alla cerimonia sono le stampe restanti, in linea con le icone che spesso accompagnavano le relazioni delle feste. Così la rappresentazione della facciata della chiesa, incisa da Paolo Bianchi e datata 1711, ostenta, accanto alla porta ricostruita con immagini effimere, l’esposizione dei teleri dei Fiammenghini,20 con didascalie che ne spiegano il senso e la cui lettura, non percepibile dall’incisione, è possibile dalle parole del testo; la stampa suggerisce l’apertura al trionfo che si rappresenta teatralmente dentro lo spazio dell’edificio, di cui si intravede l’interno con la visione della preziosa arca nel fondo. È una raffigurazione da comprendere nel suo complesso specificatamente in rapporto alla festa della traslazione e ai modelli sviluppati in occasione di analoghe cerimonie e non solo del genere del nostro. L’arca, fulcro dell’evento festivo, è significativamente riprodotta singolarmente, con il dettaglio del corpo del santo visibile oltre il vetro. Di questa immagine, che porta la data 1711, esiste una prima versione incisa, a firma di Giovan Battista Bonacina, già nata a scopo puramente devozionale, a cui la nostra è visibilmente ispirata, a indicarne l’importanza, in quanto rappresentativa dell’oggetto principale della venerazione.21 Questa stampa, come l’altra con San Gaudenzio prega la 17 G.A. PRINA, Il Trionfo di San Gaudenzio, p. 59. ASNo, Fabbrica Lapidea di San Gaudenzio, Ordinationes, t. 1. 19 M. DELL’OMO, Stefano Maria Legnani…, pp. 177-182. 20 Sui teleri rimangono esemplari le pagine di Filippo Maria Ferro per cui si veda: F.M. FERRO, Uno sconosciuto ciclo di teleri: la storia di san Gaudenzio vescovo di Novara per la regia del Fiammenghino, in ID., L’anima dipinta. Scritti d’arte lombarda e piemontese da Gaudenzio Ferrari a Ranzoni, Novara 2010, pp. 139-147. 21 Per la questione dell’urna e della stampa del Bonacina: S. BORLANDELLI, «Non fiat aliqua memoria»: all’origine dell’urna di San Gaudenzio, in “Novarien.”, 31 (2002), pp. 125-149; EAD., «Con vento fu fatta entrar per la ferrata apperta». Vicende e artisti intorno all’urna di San Gaudenzio, in La basilica di San Gaudenzio a Novara, pp. 189-196. 18 14 Vergine per la città di Novara, già commentata e non inserita nel Trionfo, pone il tema dell’utilizzo dei fogli incisi anche come strumento cultuale, con un esplicito indirizzo pilotato e suggerito. Tale significato, se pare quasi scontato nel caso del rame con l’arca, è quanto mai emblematico per l’altro, che, come già ricordava Tomea, voleva richiamare il soggetto dell’antico pallio civico, un’immagine particolarmente cara alla religiosità popolare.22 Altrettanto ovvia è la visione intera dello scurolo, datata 1712, che accompagna alla esatta riproduzione dell’interno, comprensiva di altare, arca, dipinti e pavimento, anche una visione dell’arredo delle nicchie a quella data ancora spoglie delle statue. Il dato si rivela particolarmente interessante, considerando che nella stessa descrizione del sacello nel Trionfo si accennava alle nicchie vuote destinate ad ospitare «ciascuno la sua statua di bronzo che rappresenti qualche Virtù del santo». L’idea di riempire quelle nicchie con le immagini di due vescovi era presumibilmente una ideazione del Prina artista in persona, volendo egli dare una rappresentazione completa dello scurolo, ma poteva anche sottilmente trattarsi di una esplicita proposta in un tempo in cui ancora era viva la discussione sui “simboli” che dovevano occupare il sacello. I due prelati raffigurati non sono connotati da elementi precisi di riconoscimento al di là degli attributi vescovili, ma è facile pensare che volessero raffigurare San Adalgiso e Sant’Agabio: un’idea questa che già prospettava il progetto poi realizzato trent’anni più tardi dallo scultore Carlo Beretta, a seguito dell’accantonamento del pensiero che prevedeva la presenza di Virtù.23 La raffigurazione dell’interno della chiesa in occasione della traslazione, oggetto di un’altra stampa, assume un interesse duplice. Infatti dall’immagine sono percepibili, oltre la visione dell’urna collocata sull’altare maggiore, gli apparati effimeri di ornamento e il gran concorso di popolo laico e religioso, le decorazioni delle lesene delle cappelle, svelate da restauri recenti, e la cupola prima della costruzione della nuova antonelliana che Gerolamo Prina citava «su le canne dipinta con bell’armonia di Architettura dal celebre Villa pittore di buon gusto ed Architetto di fama».24 Questa rappresentazione si rivela particolarmente importante, considerando che la decorazione andò perduta con la costruzione della nuova volta antonelliana e la stampa contenuta nella cronaca della festa rimane l’unica testimonianza dell’antica raffigurazione. Il brano che documenta l’apparato è assai esiguo e non restituisce la completezza del tutto: si intravedono basi di finte co- 22 M.L. TOMEA in Museo Novarese…, pp. 279-280. Sul tema dei simboli “civici”: P.G. LONGO, I segni della religiosità cittadina tra XV e XVIII secolo: gli ex voto civici, in Museo Novarese…, pp. 271-276. Relativamente alle immagini delle feste: M. FAGIOLO, Introduzione alla festa barocca: il Laboratorio delle arti e la città effimera, in Le capitali della festa…, p. 37. 23 Sulla questione delle statue dello scurolo: M. DELL’OMO, Carlo Beretta, scultore per lo scurolo, in La basilica di San Gaudenzio a Novara, pp. 197-202. 24 G.A. PRINA, Il Trionfo di San Gaudenzio, p. 45. Su Francesco Villa: V. CAPRARA in Il duomo di Monza: itinerario barocco, Milano 1995, pp. 149-150. Tra le varie notizie fornite da Caprara sull’artista è di grande interesse quella relativa al suo avvio presso la bottega di Isidoro Bianchi, al cui fianco l’artista avrebbe lavorato negli anni trenta presso il cantiere torinese del Valentino. 15 lonne e una finta balaustra, ma tali elementi sarebbero sufficienti per raffronti con il lavoro eseguito nel 1652 da Francesco Villa, pittore quadraturista, al Duomo di Monza, di corredo all’affresco di Carlo Cane.25 La questione tuttavia non è così scontata come sembrerebbe dalla coincidenza dell’analisi stilistica con quanto riferito dalle fonti a stampa. Infatti il dato non trova conferma nei libri di conti della Fabbrica. Altresì al 1656 è annotato un pagamento di L. 660 a tal Odoardo Rizzi per la dipintura della cupola e il riferimento a questo stesso sconosciuto pittore come artefice di questo lavoro si ripete successivamente nel 1659.26 Il nome del Villa, morto nel 1672,27 ritorna dalle parole del Trionfo anche in relazione alla cappella ora dedicata a Sant’Adalgiso e già ospitante un dipinto con Santa Barbara, attribuito a Cristoforo Martinolio detto il Rocca.28 Notizia questa che non trova altrettanto alcuna conferma dai documenti della Fabbrica e che lascia aperto il problema, tanto più nella perdita della citata decorazione. L’immagine della Macchina del fuoco, incisa dal citato Agnelli, e già disegnata, come ci comunica l’estensore della relazione della festa, dal nostro Prina chiude significativamente il corredo fotografico del volume: un’immagine che va studiata come quella della facciata della chiesa alla luce dei cerimoniali del tempo, nell’ambito dei fenomeni delle feste barocche e di quel passaggio dal «Sacro all’Ameno», che l’evento dei fuochi finali suggellava in modo emblematico, nell’intenzione di fornire un «Trofeo delle Glorie del Santo».29 Il Trionfo di San Gaudenzio, la lettura della basilica e appunti di critica d’arte per i suoi artisti È probabile che il ruolo dell’artista novarese in occasione della redazione del volume non si fosse limitato alla invenzione delle stampe ma che egli stesso avesse fornito al firmatario del Trionfo anche le notizie relative alle opere presenti nella chiesa. I documenti della Fabbrica Lapidea non rivelano questo dettaglio, ma tale fatto non meraviglierebbe, considerando che già Lazaro Agostino Cotta, all’atto della redazione delle sue note sulle chiese novaresi, premetteva che le medesime gli erano state fornite dal Prina artista.30 In proposito è da tenere presente la sua lunga e varia attività all’interno della basilica ma anche il forte legame con la città di origine, risalente per quanto riguarda l’operosità artistica al 1676, per l’ideazione degli apparati effimeri dei festeggiamenti in Duomo per la nomina di 25 Sul Villa a Monza: S. COPPA, ???? ASNo, Fabbrica Lapidea di San Gaudenzio, Conti, n. 1/10bis. 27 Milano, Biblioteca Trivulziana, Pittori eccellenti morti dal 1642 in avanti, 1675, f.6, ms., cod. XXVII. 28 Per questo dipinto: F.M. FERRO in Museo Novarese…, p. 337. 29 G.A. PRINA, Il Trionfo di San Gaudenzio, pp. 84-97. 30 L.A. COTTA, Museo Novarese…, p. 110: «Hora mi si conceda, che al lettore afferisca una raccolta fatta dal già mentovato insigne pittore Novarese Pietro Francesco Prina delle più stimabili PITTURE, de’ quali sono adornate le chiese della città di Novara». 26 16 17 18 Benedetto Odescalchi a pontefice.31 Che egli si fosse prestato a suggerire nomi e argomento dei vari arredi della chiesa gaudenziana stupisce dunque ancora meno. Inoltre che gli artisti avessero anche ruoli di informatori e non solo lo dimostra ancora lo stesso Cotta nelle sue Giunte, laddove egli rivela il passaggio di notizie relativamente ad artefici operanti nel Novarese da parte di Giovanni Antonio de Groot e Giorgio Bonola.32 La descrizione dell’interno della chiesa offre notizie di prima mano, confermate per buona parte anche dalla lettura dei documenti della Fabbrica Lapidea e dall’analisi stilistica delle opere. Lo scurolo rimane il luogo privilegiato in tale descrizione anche con dati relativi a progetti non realizzati o ancora in fieri. Apprendiamo così che una prima idea per il suo arredo prevedeva «ornati di stucco» e oro, poi tralasciata per «dar luogo ad Idee più magnifiche, e spiritose, quanto sono quelle che applicarono a marmi e bronzi stimati più propri a resistere alla caduta del tempo, e più omogenei con l’eternità» che si intendeva riservare al deposito del santo.33 Al contempo anche l’arredo interno del sacello riporta quanto fino a quel momento realizzato, comprensivo dei «sei grandi specchi di marmo», destinati secondo il Prina a contenere «effigiati in bronzo li Miracoli del Santo»31 e delle quattro nicchie, designate ad accogliere le statue di bronzo, che in quegli anni si progettava ancora dovessero rappresentare Virtù di Gaudenzio. Ma anche per le cappelle si riportano dati inediti, come nel caso di quella del Crocifisso, già arredata con il Cristo in croce attribuito a Gaudenzio Ferrari che si presentava con una Maddalena «dipinta al piede in atto di abbracciare la croce», notizia questa poi ripresa testualmente dal Cotta.34 Così per il sacello ora dedicato a Sant’Adalgiso, come già abbiamo detto, si attestava circa il suo arredo con un quadro con Santa Barbara e gli affreschi di Francesco Villa, lo stesso artefice, già citato, della dipintura della maestosa cupola. Infine la descrizione della chiesa non si limitava a enumerare gli arredi e le opere presenti, ma entravano in campo anche personali notazioni “critiche” in linea col gusto del tempo. Non stupirebbe che anche questi aspetti fossero stati in qualche modo guidati dal Prina pittore: così Tanzio è pittore «anatomico», Morazzone «tremendo» nel suo Giudizio Universale che «ha lasciato uno spavento a tutti i pittori», Gaudenzio Ferrari «divino». A Stefano Maria Legnani, artefice dell’affresco della cupola dello scurolo, sono assegnate parole di grande lode, nel nomarlo «Apelle de nostri tempi» e nel descrivere con ulteriore encomio il suo lavo- 31 Ne dava notizia per la prima volta Tomea nella sua scheda sul catalogo di Museo Novarese: M.L. TOMEA in Museo Novarese…, p. 280. 32 L.A. COTTA, Museo Novarese…, pp. 115 (a proposito delle chiese della diocesi con notizie di Giorgio Bonola) e 88-89 (relativamente alle osservazioni da parte di De Groot su Giuseppe Cuzzio e sul Prina). 33 G.A. PRINA, Il Trionfo di San Gaudenzio…, p. 5. M. DELL’OMO, Carlo Beretta, scultore per lo scurolo, pp. 197-202. 34 L’idea primaria in tale apparato derivava presumibilmente dalle modalità di arredo dello scurolo di San Carlo nel Duomo di Milano. 19 ro nel sacello: «con prodigio del delicatissimo suo fare fece vedere in un gentilissimo fresco quanti miracoli possa fare co’ colori l’industria di un pennello numerato tra i primi del nostro secolo per tutta l’Italia. Si volle da questi Signori Fabbricieri l’immagine del santo Trionfante in gloria, ed il Legnani l’ha colorita sì bella che innamora e spaventa insieme li più Eccellenti Professori dell’Arte. Si è approfittato questo grand’Uomo così nobilmente del lume che entra da finestre nascoste a dare risalto a’ colori».35 Anche al Prina non sono risparmiate espressioni di merito, nel definirlo «Architetto de’ più celebri del nostro Mondo» e nell’esaltare le sue invenzioni soprattutto relativamente all’ideazione degli apparati della festa e alla pittura di prospettiva. La fama dell’artista soprattutto in queste genere artistico era ricordato anche da Pellegrino Orlandi e da Lazaro Agostino Cotta. Interessanti al riguardo sono soprattutto le considerazioni riportate nella Giunta, che lo storico novarese riferiva fornite da Giovanni Antonio de Groot: «dato di occhio ad ogni prospettivista Italiano d’hoggidì, non trovo chi lo sopravanzi, né vi scopro, che si sforzi più di lui, chi espugni le difficoltà, chi giunga alla somma perfettione più di lui […]. Scriva dunque V.S. essere il vero Prina pittore maestro, ed essere disavventura all’arte prospettica, che egli non ogni scuola à talenti più acuti, che tale deve essere chiunque ami di essere suo seguace».36 Purtroppo le testimonianze dell’artista in questo campo rimangono assai lacunose, a dispetto di quanto a lui assegnato dallo stesso Cotta e a documentare loquacemente questa sua attività resta solo la decorazione della cappella della Madonna di Loreto nella basilica gaudenziana.37 35 L.A. COTTA, Museo Novarese…, p. 112. Sul Crocifisso: F.M. FERRO, Un crocifisso di Gaudenzio?, in La basilica di San Gaudenzio a Novara, pp. 133-136. Le note del Cotta furono redatte presumibilmente quasi in contemporanea con il testo del Trionfo. Le precisazioni sulle date di redazione si acquisiscono dall’epistolario con Ludovico Antonio Muratori. Il 27 dicembre 1709 lo storico scriveva: «In villa ho dato l’ultima mano all’Appendice copiosa del Museo» e il 16 dicembre 1716: «Ho finito la Giunta al Museo Novarese, ma per stamparla mi manca la borsa» (G. SALVANESCHI MENA, Le lettere di Lazaro Agostino Cotta a Ludovico Antonio Muratori (1700-1719), in “Novarien.”, 31 (2002), pp. 39, 57; R. CARDANO, Il Museo Novarese del Cotta nelle lettere al Muratori, in ibi, p. 209). 36 G.A. PRINA, Il Trionfo di San Gaudenzio, p. 48. 37 Ibi, p. 80. 38 L.A. COTTA, Museo Novarese…, p. 89. 20 FEDERICO CAVALIERI Una nuova piccola traccia per il Cerano Se non comparisse in tutta evidenza, in basso a destra, la scritta «Joan Baptista Ceranus pinx Mediolani» non sarebbe forse stato così semplice riconoscere l’autore dell’invenzione che sta alla base di questa incisione (rif a ill?). La posa e la composizione ormai relativamente convenzionali dopo le ripetute e fortunate prove di Girolamo Muziano e, in ambito milanese, dopo la pubblicazione dell’incisione firmata da Camillo Procaccini nel 1593 – dalla quale senza dubbio derivano il braccio destro teso e la mano aperta del santo1 – avrebbero forse indotto riferirla genericamente a un anonimo lombardo. Complice il non altissimo livello dell’esecuzione, anche il “ceranesco” patetismo dell’espressione estatica sarebbe probabilmente passato in secondo piano. E appena un sospetto avrebbe potuto suscitare quel marcato effetto di notturno, su cui tanto si cimenta l’incisore, che pare in debito con il capolavoro di analogo soggetto dipinto da Federico Barocci. Ma la firma è lì, insieme alla data 1601 visibile in basso a sinistra, a testimoniare la probabile derivazione da un’opera pubblica del pittore, che si può per ora soltanto provare a identificare fra quelle di cui si ha memoria storica, per esempio il San Francesco stigmatizzato che forse si trovava nella chiesa francescana osservante milanese di Santa Maria del Giardino, di cui le guide riferiscono in verità un po’ confusamente.2 A meno che quell’aggiunta «Mediolani» non stia a significare che l’opera non era destinata a una collocazione in città. Ai piedi dell’immagine c’è una lunga scritta dedicatoria: «Nobili ac spectabili dno ioanni angelo vergano / bonar? arti? mecœnati figuram hanc frat? / hieronymus strasser aust riacus ord min reg obs dd». Il nome Vergani, come si vedrà poco oltre, ci riporta comunque a un contesto ambrosiano, mentre la presenza del monogramma sotto la data ci offre la certezza che il francescano Strasser è l’autore e non solo il committente dell’incisione. L’autore ringrazia Mario Comincini, Marina Dell’Omo, Francesco Gonzales, Silvio Leydi, Rossana Sacchi, Jacopo Stoppa, Fabrizio Tonelli e in modo speciale Chiara Travisonni. 1 La si veda commentata da P. VANOLI in Camillo Procaccini (1561-1629). Le sperimentazioni giovanili tra Emilia, Lombardia e Canton Ticino, catalogo della mostra di Rancate, a cura di D. Cassinelli e P. Vanoli, Milano 2007, pp. 218-219. 2 M. ROSCI, Appendice al catalogo del Cerano, in “Arte Antica e Moderna”, 28 (1964), pp. 442448: 443. 21 Emerge così, dai fondi della Biblioteca Palatina di Parma,3 questa eco di un’opera ceranesca, la stessa che Lazzaro Agostino Cotta aveva visto e precisamente descritto nel 1701, e che sembrava definitivamente perduta: «Molte sue opere si dice essere state intagliate in rame, ma una sola ne ho veduta, ed è un S. Francesco stimmatizato, lavorata per mano di Fr. Girolamo Strasser di patria Austriaco, Mi. Oss. l’àno 1601».4 Stampato in caratteri settecenteschi, il nome del frate è stato ripetutamente letto “Straffer” e ciò ha non poco ostacolato le ricerche sul personaggio.5 Cotta, evidentemente, non conosceva né le immagini create da Cerano per le edizioni delle varie storie milanesi di Tristano Calco, Giorgio Merula e Paolo Giovio, incise da Giovan Paolo Bianchi e da Cesare Bassano,6 né l’immagine del Beato Pacifico da Cerano, anch’essa recante la firma del Crespi e incisa da Bianchi.7 Non è noto se Cerano esercitasse sempre qualche tipo di supervisione sull’attività degli incisori che lavoravano a partire dai suoi disegni, ma è altamente improbabile che nel caso di un’iniziativa verosimilmente commerciale come questa del San Francesco stigmatizzato non avesse dato la propria preventiva approvazione. Inconsueta, per certi versi, la caratterizzazione del viso del santo, che nelle opere note di Cerano è solitamente d’aspetto più giovanile: qualche confronto, non troppo ravvicinato, può tuttavia istituirsi con il San Francesco consolato dagli angeli della collezione Borromeo o con la torinese pala dei Cappuccini, oggi nella Galleria Sabauda. Di Strasser non conosciamo gli estremi anagrafici né il percorso della carriera, ma qualche notizia sulla sua attività si può aggiungere. Dopo il probabile soggiorno milanese suggerito da questa prova, il francescano fu sicuramente in Spagna: nel 1607, a Montserrat, firmò un’incisione che raffigura la Madonna di Montserrat più volte utilizzata in pubblicazioni del 1613 e del 1617, della quale si conoscono due differenti stati, di diversa qualità.8 Qualche tempo dopo, verosimilmente, fu a Valladolid: sulla grande incisione dedicata alla Apparizione e miracoli della Vergine della Salceda il nome dell’autore compare per ben due volte, in un caso con l’indicazione «delienavit e sculpsit Vallisoleti». In questo frangente, dunque, doveva essere 3 Parma, Biblioteca Palatina, Raccolta Ortalli. Si conservano due stati: acquaforte e bulino, f. 250×180 R. Ortalli 3448; acquaforte e bulino, f. 230×180, R. Ortalli 3449 (foglio rifilato in basso e privo dell’iscrizione dedicatoria). Senza l’aiuto di Internet, di Fabrizio Tonelli e soprattutto di Chiara Travisonni chi scrive non avrebbe potuto trovare l’incisione. 4 L.A. COTTA, Museo Novarese formato da Lazaro Agostino Cotta D’Ameno…, Milano 1701, p. 291. 5 Si vedano L.A. COTTA, Museo Novarese. IV stanza e giunte manoscritte, post 1716, edizione a cura di M. Dell’Omo, Torino 1994; M. DELL’OMO, Giovan Battista Crespi: i rapporti col padre Raffaele e con i francescani, in Il Cerano 1573-1632, catalogo della mostra, a cura di M. Rosci, Milano 2005, pp. 47-55: n. 31 p. 54. 6 Mostra del Cerano, catalogo a cura di M. Rosci, Novara 1964, pp. 107-110: G. BORA, Oltre il disegno, in Il Cerano 1573-1632, catalogo della mostra, a cura di M. Rosci, Milano 2005, pp. 213221: 219. 7 M. DELL’OMO, Giovan Battista Crespi…, pp. 47-55: 53; C. GEDDO, Il Cerano dagli archivi: questioni private, in Il Cerano 1573-1632, pp. 89-95: 92. 8 F.X. ALTÉS I AGUILÓ, La santa imatge de Montserrat i la seva “morenor”a través de la documentació i de la historia, in La imatge de la Mare de Déu de Montserrat, Barcelona 2003, pp. 93-180: 137-138. 22 sua anche l’invenzione. Inclusa in un volume stampato a Granada nel 1616, l’incisione non è datata ma la dedicazione alla regina Margherita d’Austria fissa il termine ante quem al 1611, anno di morte della sovrana.9 Altro, al momento, non è stato possibile appurare. Così come aperto resta l’interrogativo se l’incisore sia lo stesso Girolamo Strasser, francescano osservante austriaco, che diede alle stampe alcune opere nel decennio successivo – il Dux fratrum Minorum pubblicato a Vienna nel 1621 e l’Illvstre martyrivm Quatuordecim Fratrum Minorum strictioris observantiae, ab Haereticis Pragae Bohemiae, pro fide catholica occisorum pubblicato a Vienna nel 1624 – o se si tratti invece di un caso di omonimia. In virtù di quali imprese finanziate o comunque promosse Giovanni Angelo Vergani, dedicatario dell’incisione, si fosse meritato il titolo di mecenate non è al momento dato sapere. In effetti, il personaggio è ancora pressoché sconosciuto anche se qualche traccia inizia a emergere dai documenti. Apparteneva a una delle famiglie milanesi più attive nel commercio internazionale anche di beni di lusso e oggetti d’arte, e negli anni ottanta e novanta del Cinquecento gestiva una società costituita insieme a Francesco Annoni, Giovanni Battista Bianchi, padre del più noto Ercole, Giovanni Ambrogio Annoni e altri, con filiali a Milano, Anversa e Colonia.10 Figlio di Bartolomeo, doveva essere nato prima del 1544 e morì il 31 maggio 1603; il suo cognome in forma estesa era “Vergano de Spreafico” e nel Codice Cremosano dell’Archivio di Stato di Milano compaiono due stemmi molto simili a quello che figura sull’incisione, rispettivamente riferiti ai Vergano e agli Spreafico.11 Questa breve segnalazione offre infine l’occasione per qualche rapida osservazione sul catalogo delle opere di Cerano, non ancora del tutto assestato a partire proprio da alcune raffigurazioni di San Francesco. Pare infatti necessario ribadire una volta di più che la piccola tavola del Museo Ala Ponzone che mostra il santo a mezzo busto, in posa estatica, non è sua, nonostante l’attribuzione sia sostenuta da un curriculum critico di assoluto rispetto.12 Gli occhi languidi, piccoli e scavati, la luce che scivola sulle mani, la boccuccia appena socchiusa e i due volti degli angiolotti indicano inequivocabilmente la paternità dell’ancora sfuggente “Maestro del san Sebastiano Monti”, in un momento iniziale della sua carriera, prima che i suoi tipici toni delicati cedano alle eccessive svenevolezze. Allo stesso pittore dovrebbe- 9 P. GONÇALEZ DE MENDOÇA, Historia del Monte Celia de Nuestra Señora de la Salceda, Granada 1616, pp. 624 -625. 10 Un primo riferimento è in H. KELLENBENZ, I Borromeo e la casate mercantili milanesi, in San Carlo e il suo tempo, atti del convegno internazionale, vol. II, Roma 1986, pp. 805-836: 813. Notizie più dettagliate sono in M. COMINCINI, Jan Brueghel accanto a Figino. La quadreria di Ercole Bianchi, Sant’Angelo Lodigiano 2010, p. 52, nota 94, pp. 78-79. Lo stesso Comincini, che qui si ringrazia, ha comunicato a chi scrive altre notizie sulla sua attività commerciale, tuttora inedite, ricavate da atti del Notarile dell’Archivio di Stato di Lodi e del Notarile dell’Archivio di Stato di Milano. 11 Per l’individuazione della probabile data di nascita, basata sulla sua presenza in qualità di testimone alla stesura di un atto del 1564, si ringraziano Silvio Leydi e Rossana Sacchi. Per la data di morte, attestata da un atto relativo a una vertenza fra gli eredi del 18 giugno del 1603, e per la verifica degli stemmi si ringrazia ancora Mario Comincini. 12 Per l’attribuzione a Cerano si veda da ultimo la scheda di M. MARUBBI in La Pinacoteca Ala Ponzone. Il Seicento, Cremona 2007, pp. 75-77, con bibliografia precedente. 23 ro spettare anche i Santi francescani ai piedi di un albero, monocromo su carta conservato al Louvre, anch’essi a più riprese riferiti a Cerano.13 Ben difficilmente potrà poi essere di Cerano la sanguigna che mostra San Francesco a mezza figura del Blanton Museum of Art di Austin (Texas), che sul foglio reca la scritta probabilmente non coeva «Camilo Procacino», ai modi del quale sembra in effetti meglio accostabile.14 E si potrebbe continuare con altri disegni di tema francescano delle Civiche Raccolte d’Arte del Castello Sforzesco di Milano (in parte provenienti da Santa Maria presso San Celso), troppo deboli per esser suoi e che richiamano piuttosto, a livello non molto alto, i modi dello Zoppo da Lugano. Al medesimo Discepoli potrebbe infine far pensare anche la Madonna alla colonna già in collezione Doria,15 nota a chi scrive solo in fotografia, che ci riporta a un nodo cruciale, già indirettamente evocato dal dipinto dell’Ala Ponzone, quello cioè degli esordi del pittore. La bella paletta di Agrano, resa nota da Gonzales già con un orientamento attributivo sostanzialmente corretto,16 è stata di recente riferita con certezza da Agosti, Stoppa e Tanzi al giovane Crespi,17 un’opinione che chi scrive condivide pur non nascondendosi l’esistenza di alcuni problemi ancora da chiarire, soprattutto per ciò che riguarda gli esiti di una possibile collaborazione di Giovan Battista appena ragazzo con il padre Raffaele, storicamente più che verosimile. 13 M. ROSCI, Il Cerano, Milano 2000, p. 88; G. BORA, scheda in Il Cerano 1573-1632, pp. 252- 253. 14 J. BOBER, scheda in Il Cerano 1573-1632, pp. 254-255. M. ROSCI, Il Cerano, scheda a p. 53. 16 F. GONZALES, Carlo Borromeo tra il Ticino e la Sesia, in Divo Carolo, catalogo della mostra di Vercelli, Novara 2010, pp. 19-31: 23-25. 17 G. AGOSTI, J. STOPPA, M. TANZI, Dopo Rancate, intorno a Varese, in Francesco De Tatti e altre storie, a cura di G. Agosti, J. Stoppa, M. Tanzi, Milano 2011, pp. 15-49: 40-41. 15 24 MARINA DELL’OMO, SERGIO MONFERRINI Artefici del marmo tra Seicento e Settecento nella diocesi di Novara: nuovi documenti dagli archivi* Una ricerca, attualmente ancora in corso, sui notai operanti tra Novara e provincia, tra la seconda metà del Seicento e i primi decenni del Settecento, sta portando alla luce importanti novità sulla storia sociale cittadina e sulle vicende artistiche di chiese e palazzi in tale contesto storico. Sotto questo profilo sono gli altari marmorei gli arredi maggiormente beneficiati da tale ricerche, in quanto ritenuti elementi architettonici degli edifici e, come tali, soggetti spesso a contratti. I ritrovamenti di atti notarili riguardanti la loro realizzazione rappresentano un importante contributo non solo per comprendere le fasi di apparato degli edifici ecclesiastici, ma anche per la conoscenza degli artefici dei marmi presenti sul territorio. Gli altari marmorei prevalevano soprattutto in città e dintorni più che in provincia. Le zone dei laghi e quelle prealpine, come è noto, prediligevano i materiali lignei. I marmi, ritenuti più preziosi e prestigiosi, corredavano le cappelle dei nobili o delle confraternite dei notabili cittadini, gli altari maggiori e anche quelli dei sacelli laterali. Esemplare in proposito la basilica di San Gaudenzio, dove tutti gli altari furono eretti in materiali lapidei. Nel Settecento, poi, i marmi, in molti casi, sarebbero andati a sostituire i legni anche nelle zone dove tradizionalmente questi avevano conosciuto grande fortuna. Era un’indubbia questione di gusto, di contesto e di opportunità. I materiali potevano provenire dalle cave locali o molto frequentemente erano importati dalle zone di origine degli stessi marmisti convocati. Questo era il caso degli artefici chiamati da Arzo o da Viggiù. Una storia su questi argomenti è ancora per lo più da scrivere, ed è stato un primo abbozzo in questa direzione l’intervento di Valerio Cirio relativamente ai materiali utilizzati nella costruzione dello scurolo della basilica gaudenziana novarese.1 I contratti di cui si dà notizia in questa sede erano spesso corredati da note riguardanti i marmi da utilizzarsi e anche per quali elementi degli altari essi dovevano fungere. Tutto era precisamente annotato e non di rado era eletto un perito che aveva il compito di verificare la qualità del lavoro, quando finito. Anche que- *Il ritrovamento degli atti notarili e di altri documenti, riportati in appendice a queste note, si deve a Sergio Monferrini. 1 V. CIRIO, Lo scurolo di San Gaudenzio, tempio nel tempio, in La basilica di San Gaudenzio a Novara, a cura di R. Capra, Novara 2011, pp. 173-178. 25 ste notizie sono significative e diventano parte della storia del tempo. Vecchie e nuove conoscenze emergono dalle carte, talora a conferma di dati parzialmente noti o solo conosciuti per via di bibliografie locali. Rimangono in molti casi da chiarire le modalità della committenza, i tramiti delle convocazioni, su cui aleggiano al momento solo ipotesi e tracce. Anche il discorso sui modelli realizzati rimane ancora da approfondire, al contempo in alcune situazioni il lavoro è da integrare con ulteriori studi sugli archivi parrocchiali, quando esistenti e accessibili. Non è una sorpresa che le presenze degli stessi artisti si ripetano costantemente, anche in cantieri diversi, come se una chiamata ne determinasse conseguentemente un’altra ancora nel medesimo ambito cronologico. Così non meraviglia ritrovare artefici provenienti dalle zone del Ticino e dalla Valsolda, parallelamente ad altri legati ai cantieri della Fabbrica del Duomo milanese. La frequenza dei ticinesi, provenienti per lo più da Arzo, sede di importanti cave marmoree, sembra essere prevalente, fin dagli inizi del Seicento: si pensi alla famiglia Fossati attiva nella basilica di San Gaudenzio a Novara, attraverso generazioni differenti, presenti nel primo quarto del secolo nella cappella Nazari e alla fine dello stesso secolo in quella di Loreto.2 Al contempo emerge sempre più chiaramente come gli artefici del marmo fossero per lo più legati agli stessi progettisti. Un primo rendiconto di questo aspetto era fornito dalla scrivente anni addietro relativamente all’ultimo decennio del Seicento: in quella occasione era rilevata la presenza di Cesare Fiori nel ruolo di inventore, in un tempo segnato dalla sua fortuna nella diocesi novarese, sull’onda di analoghi successi a Milano,3 accanto ad alcuni operatori del marmo, fissi, Giovanni Battista Dominioni, Girolamo Calderara e Marco Mauro, artisti della citata Fabbrica del Duomo milanese. Tali presenze coinvolgevano la parrocchia di Trecate (1691), le basiliche di San Gaudenzio a Novara (1694) e dell’isola di San Giulio a Orta (1700-1705).4 In questo stesso contesto cronologico anche Pietro Francesco Prina, di origini novaresi ma residente fin dalla fine del penultimo decennio del Seicento a Milano, sembra aver detenuto un ruolo non secondario. La sua prima opera nota rimane il progetto degli apparati eretti nel Duomo novarese nel 1676, in onore dell’elezione 2 Su questi argomenti si veda in ultimo: M. DELL’OMO, Artisti e maestranze per la cappella dell’Angelo custode, in ibi, pp. 139-142; EAD., Stefano Maria Legnani, pittore dello scurolo e della cappella della Madonna di Loreto, in ibi, pp. 184-186. Tra i Fossati giova ricordare anche la presenza di Francesco tra il 1678 e il 1680 per l’altare del Rosario della parrocchia di Bolzano Novarese: M. DELL’OMO, Il pittore Salvatore Bianchi da Velate. Precisazioni sulla sua attività nel Cusio e divagazioni tra Piemonte e Lombardia, in “Novarien.”, 31 (2002), p. 259 n. 6. 3 Lo studio più recente sul Fiori, anche se concentrato essenzialmente sulla sua attività di ritrattista e medaglista, è quello di Sandra Costa: S. COSTA, Dans l’intimitè d’un collectionneur. Livio Odescalchi e le faste baroque, Paris 2009, pp. 231-237. 4 M. DELL’OMO, Cantieri e maestranze alla fine del Seicento e all’inizio del Settecento tra Milano e Novara. Nuovi documenti per Cesare Fiori e Giovanni Battista Dominioni, in “Arte Lombarda”, 127 (1999), 3, pp. 108-118. A proposito di Trecate e della balaustra, disegnata nel 1701 dal Prina, si veda il documento n. 9 riportato in appendice che attesta l’affidamento della sua esecuzione a Pompeo Marchesi di Saltrio. 26 di Papa Benedetto Odescalchi.5 Nel 1679 era segnalato ancora a Novara, come risulta da un atto relativo alla presa in consegna del progetto dell’altare del Rosario della parrocchiale di Sizzano, realizzato tra il 1679 e il 1682 da Giovan Battista Pinchetti della valle Intelvi.6 La sua posizione di protagonista nella realizzazione di altari e balaustre si concretizzava a partire dall’ultimo decennio del Seicento nella basilica di San Gaudenzio a Novara,7 in contemporanea con l’intervento nella chiesa di San Nazaro a Milano,8 accanto a Cesare Fiori, forse da lui stesso referenziato nella sua città di origine, benché l’artista milanese a quegli anni vantasse un suo nutrito e personale entourage di conoscenze anche altolocate. In fatto di altari la prova più considerevole del Prina rimane l’ideazione del santuario maggiore della chiesa del Monserrato, da lui disegnato, che ora i ritrovamenti documentari permettono 5 M.L. TOMEA in Museo Novarese. Documenti studi e progetti per una nuova immagine delle collezioni civiche, catalogo della mostra a cura di M.L. Tomea, Novara 1987, pp. 279-280; M. DELL’OMO, Versatilità e fasto barocco nelle opere novaresi di Pietro Francesco Prina per le chiese del Monserrato, di San Gaudenzio, e di San Giovanni, in “Novara da scoprire 2”, 1990, pp. 47-58; V. CAPRARA, Documenti inediti per Pietro Francesco Prina, in “Novara da scoprire 4”, 1994, pp. 109-119. Per nuove proposte: M. DELL’OMO, A Romagnano, alla Madonna del Popolo. Tracce per un percorso delle sue vicende artistiche, in La chiesa della Madonna del Popolo a Romagnano Sesia. Dalle origini ai restauri, a cura di M. Dell’Omo e S. Monferrini, Castelletto Ticino 2009, pp. 61-63. «Nel 1703 il Prina era testimone, e l’opera doveva avere il suo gradimento, nel contratto fra il S. Monte di Pietà e Giuseppe Ponti che doveva fare di getto d’argento le figure concertate sopra l’arca [di San Gaudenzio], in forma di 14 pezzi, cioè otto putti, quattro Prophete, et due Sibile, da Gioseppe Ponti orefice, et habitante nella presente Città, secondo li modelli, già consignati al med.o Ponti…» (ASNo, Notarile, notaio Carlo Domenico Pellizzari, min. 3989, atto 12 novembre 1703). Il 2 agosto 1727 padre Angelo Maria Allevi, per conto dei Gesuiti, eredi del Prina, consegnava al fisico Tabarino, come previsto nel testamento, una vigna vicino alla chiesa della Bicocca di 14 staia ed i diritti relativi ad un capitale con la Comunità di Fara che rendeva 34 lire e 4 soldi l’anno. Nello stesso atto veniva dichiarato che erano stati consegnati tutti i libri già esistenti nella casa di Francesco Antonio Cavallo ed i mobili e quadri in quella di Domenico Prina (ASNo, Notarile, notaio Giuseppe De Medici, min. 4260). Si segnala inoltre come alcuni documenti, in corso di studio dagli scriventi, dimostrano l’interessamento del Prina per la ristrutturazione del palazzo di Pavia del collegio Caccia in vista della sua apertura nel 1719. 6 Si vedano i documenti nn. 2-3 in appendice, segnalati in F. DESSILANI, Sizzano un paese attraverso i secoli, Novara 1995, p. 128. Il Pinchetti è documentato anche per l’altare della capella di Santa Maria Bianca a Parma nel 1683 (P.P. MEDDOGNI, Santa Maria Bianca, in “Parma per l’arte”, n.s., I, 1995, p. 46) e per l’altare maggiore della cattedrale di Lugano, su disegno di Andrea Biffi (notizia desunta dalla domanda di “Concessione di un sussidio” al Canton Ticino per i restauri della cattedrale, dicembre 2010). 7 V. CIRIO, Lo scurolo di San Gaudenzio…, pp. ???; M. DELL’OMO, Stefano Maria Legnani…, pp. 184-186. Al Prina era stato anche richiesto un progetto per l’altare maggiore della basilica, poi non accettato. Il santuario di questa chiesa fu realizzato a partire dal secondo decennio del Settecento su disegno di Giuseppe Natali cremonese e con il concorso prestigioso dello scultore milanese Carlo Beretta. Per questa vicenda: M. DELL’OMO, L’altare maggiore della basilica di San Gaudenzio. I documenti, gli artisti, in La basilica di san Gaudenzio a Novara, pp. 209-219. Un altro interessante progetto di altare realizzato dal Prina è quello del 1718 per la cappella dell’Incoronata della basilica di San Gaudenzio di Varallo Sesia, messo in opera da Carlo Gerolamo e Giuseppe Argenti di Viggiù tra il 1720 e il 1722. Per questo altare sono da sottolineare le non poche somiglianze con quello novarese del Monserrato. M.G. CAGNA, La cappella, in L’Incoronata, a cura di M.G. Cagna e D. Pomi, Borgosesia 2008, pp. 74-75. 8 A San Nazaro è ancora il Pinchetti a lavorare al tabernacolo di marmo (S. ZANUSO, Schede di scultura barocca in San Nazaro a Milano, in “Nuovi studi”, 1, 1996/1, pp. 167-174). 27 di ricostruire nelle presenze di tutti gli artefici.9 Il contratto per l’esecuzione di quel santuario, che nella parte superiore rivela la struttura di un vero e proprio tempietto, ha una precisa datazione al 28 maggio 1700, con l’affidamento dei lavori a Marco Mauro e Gerolamo Calderara e la nota dettagliata dei marmi da utilizzarsi; accanto a questi personaggi emerge anche il coinvolgimento di Francesco Pozzo «per modellare la cera sopra il modelletto di legno», un altro degli artefici presenti sul fronte novarese, come meglio vedremo più innanzi. L’interesse del contratto ritrovato, oltre che confermare la paternità del progetto nel Prina, nasce dall’acquisizione della notizia della data di attuazione, presumibilmente completata nel 1705, come si può evincere da un altro atto riguardante l’altare, attestante le varie fasi di pagamento di tutti gli artisti coinvolti.10 La sua visualizzazione in una stampa delineata e realizzata dallo stesso Prina restituisce l’immagine del complesso, seppure con alcune varianti rispetto alla realizzazione,11 anche con le due statue laterali, già ideate all’atto degli accordi ma poi presumibilmente non attuate e insieme alle figure dei puttini già escluse dal contratto con gli artefici.12 È da chiedersi se l’incisione riproducesse esattamente il progetto del Prina, con le parti poi non realizzate, o se includesse invece alcune invenzioni, stanti le citate varianti che coinvolgono in particolare il fastigio e il paliotto della mensa. È significativo che i due “operari” del marmo, Mauro e Calderara, siano detti soggiornanti in quel tempo a Novara, per altri “negozi”, come in effetti risulta da ulteriori documenti attestanti i loro lavori nella città e dintorni. Infatti nella stessa data del 28 maggio 1700 i due redigevano un contratto per la realizzazione dell’altare della Beata Vergine del Rosario della parrocchiale di Fara, seppure risultava il solo Mauro a riscuotere i pagamenti, significativamente con la mediazione del marchese Giuseppe Antonio Nazari.13 In questo medesimo contesto cronologico i due si trovavano coinvolti nella vicenda dell’altare esteriore della basilica di San Gaudenzio a Novara, per la parte inferiore disegnata da Pietro Fran- 9 Per un primo studio su quell’altare: M. DELL’OMO, Versatilità e fasto barocco …, p. 54. Per altri dati: M. AIROLDI TUNIZ, Devozioni e giochi di potere intorno a un corpo santo. La vicenda del canonico Avogadro, in “Novarien.”, 31 (2002), p. 118. 10 Si veda in appendice documento n. 11. 11 M. DELL’OMO, Versatilità e fasto barocco…, p. 54. 12 Si veda in appendice documento n. 8. 13 Si veda documento n. 7. «I Confratelli del Rosario presentarono una supplica al Vescovo, havendo deliberato per render più decorosa la capella d’essa B.M.V. che tengono nella loro Parochiale farvi una incona di marmo, per l’approvazione del disegno e l’autorizzazione a procedere. Il permesso venne accordato dal can. Durio il 12 maggio 1700» (Archivio Parrocchiale di Fara Novarese). Il Nazari era presente il 22 giugno 1706 alla resa dei conti con Marco Mauro (Archivio Parrocchiale di Fara Novarese, 819). La presenza del Nazari in qualità di mediatore potrebbe spiegare la commissione di Fara, considerando che il Nazari era fabbriciere di San Gaudenzio a Novara nel tempo in cui il Mauro lavorava anche per quella basilica; inoltre possedeva a Fara numerosi terreni e case. La cappella del Rosario avrebbe poi ricevuto ulteriori aggiustamenti nel corso del Settecento, in particolare con il significativo trasporto della statua della Beata Vergine con il bambino dalla chiesa del Carmine di Novara, in seguito alle soppressioni napoleoniche. Si veda anche per queste notizie: A. DE MARCHI, Chiesa dei SS. Martiri Fabiano e Sebastiano, Novara 1994, p. 28. 28 cesco Prina.14 La fortuna in terra novarese del Calderara, avviata nel 1694 per il suo lavoro all’altare maggiore di Trecate, disegnato da Cesare Fiori, si sarebbe poi ulteriormente confermata, come dimostra la sua chiamata nel 1705, ad eseguire una perizia per l’altare maggiore e per quello dello scurolo della basilica dell’isola di San Giulio, anch’essi attuati su progetto dello stesso Fiori.16 Ad osservare la situazione che si prospetta tra fine Sei e primo Settecento dai dati presentati, sembra di capire innanzitutto che il binomio Mauro-Calderara costituisse una vera e propria équipe, ben collaudata, a cui si affiancavano Cesare Fiori e il nostro Prina, quest’ultimo in particolare, in ragione delle sue origini novaresi, il probabile mediatore per le iniziative riguardanti la basilica di San Gaudenzio. Dati questi che comunque attestano quanto dicevasi in apertura di queste note, relativamente al ripetersi delle compresenze degli stessi artisti. Ma nello stesso frangente cronologico in cui operavano gli artefici citati risultavano figure altrettanto emergenti a Novara i Pozzo della Valsolda. La loro permanenza novarese presenta ancora molti punti da chiarire, a cominciare dalla loro eventuale seppur temporanea residenza in città che, a considerare l’assidua e proficua attività, dovette avere almeno un punto di riferimento stabile.17 Tuttavia il loro domicilio ufficiale rimaneva presumibilmente a Milano, ove già i fratelli Francesco e Giacomo risultavano tenere bottega e ove tentavano di acquisire nel 1692 la bottega di Carlo Simonetta, vacante per la sua dipartita. Interessante in proposito un loro memoriale redatto in quella occasione, nel quale i due lamentavano di «essere stati esclusi dal modellare sotto pretesto di essere operai in bronzo» e ostentavano altresì una serie di lavori in marmo realizzati per Novara e per Como, nella cappella Odescalchi e in Duomo.18 Al di là della basilica novarese di San Gaudenzio, ove tutti gli esponenti della famiglia si trovarono ad operare dagli anni settanta del Seicento fino alla metà del Settecento, il ritrovamento di nuovi documenti dà atto di ulteriori loro interventi in Novara e dintorni. I contratti relativi agli altari maggiori delle chiese del convento di San Francesco,19 di Sant’Agata20 in città, dispersi in seguito allo smantellamento delle loro sedi in epoca napoleonica,21 rinvenuti presso l’Archivio di Sta14 Su Marco Mauro e la sua attività si veda: M. DELL’OMO, L’altare maggiore della basilica di San Gaudenzio…, p. 218 n. 8. 15 V. CIRIO, Lo scurolo di San Gaudenzio… 16 M. DELL’OMO, Cantieri e maestranze alla fine del Seicento…, p. 110. 17 Nel 1691 i Pozzo risultavano alloggiare in una camera a Novara: V. CIRIO, Lo scurolo di San Gaudenzio…, p. 174. 18 Per queste notizie: M. DELL’OMO, L’altare maggiore della basilica di San Gaudenzio…, pp. 218-219 n. 30. 19 Si veda documento n. 12. 20 Si veda documento n. 14. In proposito è interessante che la statuetta del Cristo risorgente, a culmine del cupolino, le due statuette di angeli a lato del tabernacolo e altri ornamenti dovevano essere effettuati in bronzo da parte dello stesso Pozzo, che come gli altri esponenti della su famiglia aveva un’estesa competenza anche con questo materiale. 21 Per qualche cenno su questo aspetto: M. DELL’OMO, Johan Christoph Storer da Arona a Novara. Divagazioni sulle soppressioni degli ordini religiosi nella diocesi novarese, in “Novarien.”, 39 (2010), pp. 167-170. 29 to novarese, certificano Francesco Pozzo padre e Francesco figlio nel ruolo di artefici. Inoltre lo stesso Francesco junior risultava l’autore del pavimento della prestigiosa cappella di San Giuseppe in Duomo, interessata da una serie di importanti rinnovamenti tra fine Seicento e primo Settecento.22 A tali atti è da aggiungere poi quanto riportato dalle note manoscritte relativamente a San Giovanni Decollato, redatte in base a documenti d’archivio dal Canonico Martinelli, che registrava le varie fasi di decorazione e di arredo della chiesa: l’altare maggiore, in particolare, vedeva coinvolto tra il 1712 e il 1720 Francesco Pozzo figlio di Francesco, insieme al fratello Gio Carlo (forse lo stesso Carlo Domenico), autore delle due statue di angeli laterali.23 Lo stesso Francesco insieme al padre realizzava, tra il 1701 e il 1703, il tabernacolo dell’altare maggiore della parrocchia di Cavaglietto, nel 1723 Carlo Domenico si assumeva in prima persona l’onere di esecuzione dell’altare maggiore della parrocchia di Fara.24 Inoltre tutta la famiglia dei Pozzo risultava esperta non solo nei marmi ma anche nei bronzi per i quali essi erano convocati espressamente anche in altre parti del Piemonte, a indicare una specifica e riconosciuta professionalità al riguardo.25 Nel contratto per Cavaglietto era anche prevista la realizzazione in stucco di due statue laterali dell’altare e ancora nel 1722 un «s.r Pozzi» faceva «li stucchi per l’arma dell’Ecc. Padrone [il vescovo Giberto IV Borromeo] sopra l’ancona della cappella» del palazzo vescovile.26 Gli artisti nominati sembrano avere avuto un ruolo monopolizzante soprattutto in Novara città. Solo Fara, terra dei Tornielli, nonostante provincia, e Cavaglietto vedevano l’intervento di questi artefici. Così Trecate, ove la questione dell’altare maggiore era gestita da Giovan Battista Leonardi, originario del luogo con stanza anche a Milano.27 Ma nel resto del circondario novarese sembrano prevalere altre presenze, forse meno “nobili” e provenienti per lo più da Saltrio e Viggiù, zone risaputamente legate ai marmi. I Marchese di Saltrio accanto ai Giudici lavoravano, nell’ultimo decennio del Seicento, tra Maggiora, Sizzano, Ghemme, Sillavengo, Momo e Cavaglietto: tra i Marchese spicca il nome di Giuseppe, tra i Giudici quello di Giovanni. A Mosezzo nel 1725 era Francesco Pozzo junior a di- 22 ASNo, Compagnia di San Giuseppe, n. 40; M. DELL’OMO, La cattedrale di Novara, Novara 1993, pp. 125-126. Nel 1698 Costantino e Giovanni Battista Fossati con Giovanni Rosso realizzavano la balaustrata e la bardella dell’altare. Tali lavori, insieme a quello del pallio in argento, facevano seguito all’ordinato del 18 novembre 1697 (ASNo, Notarile, notaio Giovanni Antonio Bollini, min. 1967) con delega al notaio Bollini, tesoriere della confraternita, Giuseppe Antonio Cavallotti e Marc’Antonio Caccia. 23 ASDN, Canonico Martinelli…; per queste notizie si veda anche: F. FIORI, Un artista novarese tra Sei e Settecento. Giuseppe Antonio Tosi detto il Cuzzio e i dipinti di san Giovanni Decollato, in “Novara da scoprire 2”, 1990, p. 62. 24 Si vedano il documento n. 10. Al Pozzo veniva data anche una brenta di vino nel 1723, mentre riceveva il saldo di 50 lire nel 1725; nel 1723 si pagava anche un indoratore per l’altare stesso (Archivio parrocchiale di Fara, Libro delle entrate ed uscite dal 1694, 170). Per Fara si veda anche: A. DE MARCHI, Chiesa dei SS. Martiri Fabiano e Sebastiano, p. 16. 25 Si veda il riferimento bibliografico della nota 18. 26 Il Pozzi ricevette un compenso di 21 lire (ABIB, Libro dell’Uscita della Mensa Episcopale). 27 Per qualche cenno: M. DELL’OMO, Cantieri e maestranze alla fine del Seicento…, p. 114 n. 6. 30 segnare l’altare maggiore, ma l’esecutore era lo stesso Giovanni Giudici.28 A Cavaglietto nel 1697, a fronte del tabernacolo dell’altare maggiore realizzato successivamente dai Pozzo, Pietro Marchese e Giovanni Giudici, attuavano l’altare e nel 1708 Bernardo Giudici la balaustra.29 Questi stessi artisti si ritrovavano quali autori di balaustre anche in complessi ove i santuari erano stati eseguiti da diverse maestranze: a Novara era il caso di San Giovanni Decollato con i fratelli Giudice [sic], di San Quirico per le cappelle di San Pio V e di San Vincenzo Ferreri con Giovanni Giudici e Carlo Cesare Pellagatta, a Sizzano operavano Pietro e Pompeo Marchese, a Fara Carlo Marchese con Bernardino Fossati, a Trecate nella parrocchia con Pompeo Marchese che lavorava su disegno del Prina.30 Giovanni Battista Giudici si aggiudicava poi alcuni incarichi per tre cappelle del Duomo di Novara tra il 1728 e il 1744.31 Di tutte queste maestranze rimangono da chiarire i rapporti familiari, al momento solo abbozzati e da approfondire partendo dagli archivi parrocchiali delle località di origine. È questo un discorso non secondario ai fini della comprensione della gestione delle imprese dei marmi che tanto segnarono gli arredi delle chiese tra Seicento e Settecento. A Sizzano, nel 1679, era Giovanni Battista Pinchetti della val di Intelvi a ricevere l’incarico per l’altare del Rosario,32 preferito a Giovan Battista Bianchi di Argenio (Como), il cui intervento più significativo riguardava la realizzazione marmorea dello scurolo di San Gaudenzio, stigmatizzata dal contratto in data marzo 28 Si veda il documento n. 15. Archivio Parrocchiale di Cavaglietto, convenzione del 29 ottobre 1697 con pagamenti fino al 30 settembre dell’anno successivo (si veda il documento n. 13). Bernardo lavora anche con Carlo Giuseppe Buzzi nel realizzare un camino e «zoccolini di marmo nelle secretarie» del palazzo vescovile (ABIB, Libro dell’Uscita della Mensa Episcopale, registrazione del 3 dicembre 1731), ricevendo un compenso di 29 lire. 30 Si vedano i documenti nn. 4, 6, 9, 17; la notizia riportata dal documento citato è da integrare con quella relativa all’esecuzione di due balaustre nella stessa chiesa di San Quirico con Giovanni Giudice di Saltrio: A.M. MALOSSO, M. PEROTTI, San Pietro al Rosario in Novara. Luogo di millenaria invocazione mariana, Novara 1998. Sui Pellagatta: A. BARBERO, G. MAZZA, Per una famiglia di marmorari a Casale: i Pellagatta, in “Studi Piemontesi”, 8 (1979), pp. 107-115; per Sizzano: F. DESSILANI, Sizzano un paese attraverso i secoli, p. 129; per San Giovanni Decollato: M. DELL’OMO, Versatilità e fasto barocco …, p. 54. 31 EAD., La cattedrale di Novara, p. 75. 32 Si veda il documento n. 2. In un piego di scritture dell’arciprete Salario (ASNo, Notarile, notaio Silvestro Tettoni, min. 7862, atto 22 settembre 1698) erano ricordati alcuni documenti relativi alla costruzione dell’ancona del Rosario: un memoriale al vicario generale con suo decreto del 18 gennaio 1679, il disegno dell’altare approvato dal vicario generale il 17 febbraio 1679, la scrittura dell’oblatione del Pinchetto del 24 dicembre 1678, l’ordinato della comunità di Sizzano del 26 dicembre 1678 con l’incarico a Carlo Antonio Bianchi di Sizzano per concludere l’accordo con lo stesso Pinchetto. Vi erano inoltre una serie di lettere datate 1678 e 1679 del Bianchi, del canonico prevosto Morbio, del curato di Momo Bernardino de Zoppi, sizzanese, di Gaspare Cattaneo e del’arciprete Salario, in particolare una lettera non sottoscritta né datata ma di Casa Cattanea di raccomandazione in favore dello scultore Giovan Battista Bianchi. Evidentemente quest’ultimo era stato contattato per realizzare l’altare ma l’incarico fu dirottato sul Pinchetto; tale fatto provocò una reazione di protesta da parte del Bianchi che si rivolse anche al vicario generale. Il saldo definitivo delle opere al Pinchetto si ebbe il 19 dicembre 1681, per la somma di 636 lire. La cappella del Rosario avrebbe ricevuto in seguito alcuni aggiornamenti comprensivi anche della decorazione pittorica operata da Lorenzo Peracino (F. DESSILANI, Sizzano un paese attraverso i secoli, p. 132). 29 31 1674.33 Il successo di questa impresa dovette significativamente procurare al Bianchi anche la commissione dell’altare della Maddalena a Novara tra il 1689 e il 1690, smantellato in epoca napoleonica, con l’appalto di tal Giacomo Mazzetti, fratello di Cristoforo, autore del progetto della chiesa parrocchiale di Ghemme.34 È di particolare interesse il fatto che il conte Vitaliano Borromeo nel 1679 scrivesse di suo pugno una lettera a uno dei fabbricieri della basilica gaudenziana, Carlo Antonio Langhi, affinché il marmista continuasse ad operare nella medesima chiesa:35 un intervento questo che lascia intendere un conoscenza reciproca tra l’artista e il nobile milanese, forse maturata sul fronte del cantiere dell’isola Borromeo, ove già fin dagli anni sessanta lavorava anche l’architetto Francesco Castelli attivo in San Gaudenzio per la costruzione dell’ancona esterna dell’altare dedicato al santo e dello scurolo.36 A partire dagli anni venti del Settecento, a fronte della scomparsa degli artisti già presenti nel secolo precedente, il panorama degli artefici dei marmi cambiava visibilmente. Nomi nuovi avanzavano, provenienze ancora forestiere, per lo più da Viggiù. Una presenza particolarmente significativa risultava essere quella di Giuseppe Buzzi di Francesco, la cui attività per la diocesi novarese si proponeva fin dal 1732, preceduta da quella per la chiesa presso il Sacro Monte di Arona per commissione dei Borromeo.37 In questo anno il maestro stipulava almeno due contratti in zona, per la chiesa di Santa Maria delle Grazie a Novara38 e per la parrocchiale di Quarna sotto (Riviera d’Orta).39 Fra il 1734 e il 1738 lavorava alle tre balaustre e gradini di marmo nella parrocchiale di Proh e nel 1758 realizzava l’altare della cappella del Santo Crocifisso della parrocchiale di Fara.40 Ancora da Viggiù provenivano i Pellagatta, Cesare e Giacomo.41 Nuovi contratti rinvenuti rinsaldano le loro presenze e allargano il loro catalogo. 33 V. CIRIO, Lo scurolo di San Gaudenzio…, pp. 180-181. Si veda il documento n. 5. Per Ghemme si veda anche: S. MONFERRINI, Appunti sull’evoluzione di un edificio di culto: la cappella della Beata Panacea a Ghemme, in “De Valle Sicida”, V (1994), p. 138. 35 Si veda il documento n. 1. 36 V. CIRIO, Lo scurolo di San Gaudenzio…, pp. 176-178. 37 ABIB, Libro di cassa 1728-29, registrazione del 17 febbraio 1729. 38 Si veda il documento n. 17. 39 Col Buzzi lavorò Francesco Olgiate, secondo il modello della chiesa del borgo Sant’Andrea a Novara e con il tabernacolo simile a quello di Crusinallo (notizie desunte dal sito internet del Comune di Quarna sotto). Nel 1735 intervenne nella riparazione dello «scalone del Vescovado, cioè la balaustra diroccata» (ABIB, Libro dell’Uscita della Mensa Episcopale, registrazione del 7 marzo 1735), ricevendo 24 lire. 40 A. DE MARCHI, Chiesa dei SS. Martiri Fabiano e Sebastiano, p. 20. Nel 1734 era stato chiamato dalla confraternita del SS. Sacramento e di San Giovanni Battista di Gravellona Lomellina, attraverso l’interessamento e la mediazione del canonico del Duomo di Novara Alessandro Barbavara a costruire l’altare maggiore della parrocchiale, secondo il disegno stabilito e la distribuzione dei marmi fatta di proprio pugno da Antonio Curzio Gattico, per 3000 lire (ASNo, Notarile, notaio Carlo Gerolamo Caccia, min. 4469, atto 9 agosto 1734). 41 Nel 1727 Carlo Cesare e il figlio Giacomo iniziano la costruzione dell’altare del Rosario della parrocchiale di Vespolate: si veda il documento n. 16. 34 32 Il graduale sostituirsi delle ancone lignee con quelle marmoree che avrebbe conosciuto il suo culmine intorno alla metà del Settecento, alimentava l’industria del marmo e le botteghe degli artisti operanti nel genere. I modelli si ripetevano, per lo più simili secondo le normative diffuse, e la loro registrazione si leggeva puntuale nelle visite del vescovo Marco Aurelio Balbis Bertone. Le mirabolanti strutture di tardo Seicento e di primo Settecento, di cui sono emblematica testimonianza a Novara gli altari maggiori di San Gaudenzio42 e della chiesa del Monserrato, lasciavano il posto a soluzioni più semplici e quasi seriali. Nel tardo Settecento le trasformazioni non vedevano ancora la fine. Nuovi protagonisti si affacciavano sulla scena. La famiglia degli Argenti acquisiva un ruolo principe soprattutto in provincia. I dati in questa direzione sono stati recentemente acquisiti soprattutto attraverso gli archivi parrocchiali, che, come si diceva innanzi, costituiscono un altro fondamentale tassello di ricerca.43 Purtroppo, nonostante le conoscenze acquisite, molti reperti hanno subito trasferimenti e dispersioni nei tempi delle soppressioni napoleoniche. Sono i casi citati per Novara in San Francesco e in Sant’Agata, mentre altrove, al contrario, nonostante gli smantellamenti dei “contenitori”, sopravvivono gli antichi altari, spostati in altri contesti. È questa la vicenda dell’altare maggiore della chiesa novarese del Carmine che oggi possiamo ancora ammirare nella parrocchia di Santo Spirito di Maggiora.44 Altro deve essere ancora ritrovato. Per questo le ricerche continuano nella speranza di poter portare alla luce altri piccoli tasselli della storia artistica del nostro straordinario territorio. 42 M. DELL’OMO, L’altare maggiore della basilica di San Gaudenzio…, pp. 209-219. Si confronti ad esempio il caso di Nonio, recentemente studiato alla luce di importanti documenti rinvenuti anche presso l’archivio parrocchiale (Nonio. Brolo. Oira. Storia e memorie di una Comunità, a cura di D. Tuniz, Gravellona Toce 2011). 44 F. MINAZZOLI, Fede e arte a Maggiora, Comignago 1988, p. 26. 43 33 Appendice documentaria 1) 1679 18 gennaio ABIB, Famiglia Borromeo, Vitaliano VI, corrispondenza 1679 1679 18 gen.o S.r Carlo Ant.o Langhi Novara Ill.mo s.r mio e padron col.mo Gio: Batta Bianco impresario della fabrica de marmi lustri di S. Gaudentio desidera di continuare a servire alla fabrica stessa, e sapendo il favore che V.S. Ill.ma fa alla osservanza mia mi ha pregato di applicare a V.S. Ill.ma l’assisterli co le di lei gratie. E pure molte volte il mutare di maestri pregiudica alle fabriche, ed io ne ho havute nelle mie particolari esperienze. Ogni favore che V.S. Ill.ma li farà godere sarà in particolare mia obligatione e sempre sono 2) 1679 3 gennaio ASNo, Notarile, notaio Silvestro Tettoni, min. 7858. Convenzione fra Carlo Antonio Bianchi, deputato dai consoli di Sizzano, e l’arciprete Giovanni Francesco Salario, e l’ing. Giovanni Battista Pinchetto fu Domenico di Argegno, come dall’accordo fatto a Novara in casa di Gaspare Antonio Cattaneo, per la costruzione dell’altare della B.V. del Rosario nella chiesa parrocchiale di Sizzano, secondo il disegno consegnato a Pietro Francesco Prina. Il prezzo concordato era di 3300 lire e 12 metrete di vino rosso. Le condotte da Turbigo o dal porto di Oleggio erano fatte a rischio e pericolo del Pinchetto, al quale doveva essere data sufficiente abitazione ed utensili per lui ed i suoi operai, e forniti muratori, ponteggi, ferro, piombo, ecc. L’opera doveva essere terminata per metà nel giorno della festa della Madonna di ottobre ed il resto entro settembre del 1680. Marmi: macchia vecchia (scalino della bardella, dado sotto ai piedestalli), nero (basi, cimasa che serve per gradino dei candeglieri, corpo dei piedestalli, colonne con suoi membretti come quelle di S. Gaudenzio di Novara, piedestallo sotto alla nicchia, telaio della nicchia, cornicione, ovato con cornici), bianco (basi delle colonne, capitelli e lesene, basi e cimase del piedestallo della nicchia, arzelle, et festoni, et cartello), ardesia o macchia d’ardesia (decorazioni, zoccoli della nicchia, fregio, peduzzo sotto l’ovato, fondi tra la nicchia e le colonne). 3) 1680 21 ottobre ASNo, Notarile, notaio Silvestro Tettoni, min. 7858. Confesso di Giovanni Battista Pinchetto fu Domenico di Argegno, impresario della costruzione dell’altare della B.V. del Rosario a Sizzano, che dichiara di ricevere 478 lire e 14 soldi da Giuseppe Rasario fu Giovanni Pietro di Sizzano, priore della Confraternita del SS. Sacramento, per il pagamento di 3300 lire totali e 12 metrete di vino previste nel contratto d’appalto. L’8 giugno 1679 un altro atto specifica i pagamenti fatti al Pinchetto e precisa ulteriori accordi non essendo ancora terminata l’opera: il Pinchetto si impegnava a completarla; il maggior costo per le colonne tortili, anziché tonde come previsto nel contratto, e per l’arcellone fatto di marmo nero anziché bianco, sarebbe stato stabilito da periti; il Pinchetto si riservava di farsi pagare la condotta di alcuni marmi dal porto di Oleggio a Sizzano. Testimone all’atto era mastro Rocco Nolfi fu Bartolomeo comasco. 4) 1682 19 ottobre Archivio Parrocchiale di Fara Novarese, 292. Convenzione fra il curato Giovanni Fiorella, i tesorieri Bartolomeo Borgia e Domenico Piatelino della chiesa parrocchiale di Fara, con la partecipazione et collaudatione del nob. Car- 34 lo Francesco Langhi, ed i maestri di quadratura de marmi Carlo marchesi e Bernardino Fossati, il primo di Saltrio ed il secondo di Arzo, per fare una balaustra per detta chiesa di Fara, condotta al porto dii Oleggio, entro il mese di maggio del 1683, con di più doi navelli, o siano vasi per l’aqua santa per la sodetta chiesa, et un navello con suo vaso sotto per lavar le mani della sacristia. Il prezzo era stabilito in 42 lire al braccio per la balaustra, con base e cimasa, e di 6 lire al braccio per lo scalino davanti, e 150 lire per i due navelli (della qualità e grandezza et altro, conforme sono quelli di Sizzano) e 18 lire per quello della sacrestia. In calce al documento sono annotati i pagamenti coi relativi confessi: 190 lire il 20 ottobre 1682, 331 lire il 5 marzo 1683, ed il saldo di 356 lire, fatto dal Marchese e da Francesco Fossati, fratello di Carlo, il 1° luglio 1683. Marmi: brocatello (colonnette, navello della sacrestia), pietra vecchia (basi e cimasa, navelli). 5) 1690 7 giugno ASNo, Notarile, notaio Giulio Francesco Minazzoli, min. 2547. Liberazione dei conti tenuti dal R.do Carlo Buchetto, canonico del Duomo e deputato dal Vicario generale capitolare all’assistenza nella costruzione dell’altare maggiore di marmo della chiesa del monastero di S. Maria Maddalena di Novara. Il disegno dell’altare fu approvato dal Vicario dottore in sacra teologia Stefano Maria Caccia, canonico del Duomo, il 30 luglio 1688, autorizzandone la costruzione e incaricando il Buchetto dell’assistenza. Testimone all’atto fu il giureconsulto collegiato Giuseppe Antonio Della Porta fu Carlo Alessandro. Nella supplica rivolta dalle monache al Vicario per l’approvazione del disegno ed il permesso di procedere si osservava che fatte le diligenze di diverse persone perite per tal opera e ricevute le oblationi si era delibearo di affidarla all’operaio Carlo Bianchi, cioè quello, che è gudicato più atto, e che ha ridotto l’oblatione in lire ottomille settecento con termine lungo al pagamento. Il contratto venne stipulato invece con Giacomo Mazzetti fu Cristoforo che si impegnò con la fideiussione di Giovanni Battista Bianchi fu Giovanni Pietro ed il collaudo di Giovanni Paolo Coppa fu Giovanni Pietro, ricevendo un acconto di 1800 lire. Le condizioni erano le seguenti: le quattro colonne dovevano essere di un unico pezzo, e li puttini tanto interni, come le faccie di essi nei luoghi putati devono pur’essere di tutta perfettione non solo per il marmo bene lustro, ma eziandio per la figura a proportione, e belezza secondo il dissegno; le monache erano tenute a provvedere solo ai muratori per le opere in muratura ed ai ferramenti; il Mazzetti doveva a sue spese provvedere a tutto il resto ed anche a far fare due statuine con altre robbe come previsto nel disegno, il tabernacolino di rame o bronzo o ottone ben indorato a fuoco, un’altra figura di rame a cesello indorata a fuoco sopra la portina; il lavoro doveva essere completato in 16 mesi a partire dal 2 luglio; la cifra concordata era di 8700 lire, di cui 3000 lire di acconto, 2000 lire nel mettere in opera i marmi, 700 lire ogni Natale seguente fino al 1694 con l’ultima rata di 900 lire, senza interessi. La lunga lista dei conti presentata dal can. Buchetto mostra i vari artefici impegnati nell’opera: in primis Giovanni Battista Bianchi, impegnato nei marmi, mastro Pietro Maria Falcone, Domenico Conza e Giacomo Antonio Casazza, muratori, per i lavori in muratura e le fondamenta, Giuseppe Mora per il piombo, Bartolomeo Martinez per 6000 mattoni e loro condotta, Giovanni Paolo Coppa per il gesso, Cristoforo Maria Barba, falegname, per haver fatto un telaro da quadro per metter in cima nell’ancona, la cassetta del tabernacolino con la portina e sistemata la bardella, Federico indoratore per sordorare le parolle della cartella, e portina, Angelo Malugani per i ferramenti, Giovanni Battista Castelli per la sabbia. Nel documento sono trascritte due interessanti lettere di Giovanni Battista Bianchi al can. Buchetto: - M.to Ill.re, e R.mo Sig.re Già che non mi ha permesso il rigor del fredo di venire costì per adietro, ho risolto di far un solo viaggio, e far condure quelle pietre, che sono pronte per l’opera della Madalena, essendo già fatte due collone, et più della mittà delle altre pietre, et da Genova ho aviso, che si trava- 35 glia, come anche a Carrara, da quali ho havuto doi ordini di pagar denari qua in patria, uno de dodeci genovine [tipo di moneta], et l’altro di lire 200 di Genova, che però [= perciò] devo suplicar V.S. darmi se può felippi cento [tipo di moneta], che il sig.r Paolo Coppa li riceverà, et farà qui sotto il confesso in mio nome, che sarano ben datti, acciò li possa consegnare al cavalante per portarli a Como per farmeli havere… solo che resto reveritissimo servitore Di V.S. M.to Ill.re e R.mo Obligatissimo Gio: Batta Bianchi Argegno li 11 feb.o 1689 - M.to Ill.re, e R.mo Sig.re Di già V.S. sà, che si lavorano in Genova, in Milano, in Carrara et in Novara si va lavorando per l’opera delle Rev.de Monache della Madalena, non ostante il danaro pagatomi a conto di questa, con altro anchora de miei proprij non posso di meno replicar V.S.R.ma di farme dare almeno felippi cento per poter corrispondere prontamente alli ordini di chi opera, come potrà vedere di una [lettera] che li metto al sig.r Mazzetti di pagar lire duecento, e trenta di pagar in Milano, come vedrà da quella, come anche ne aspetto altri ordini da Carrara, et da Genova tra pochi giorni. Di gratia la suplico a concorrere in questa acciò si possi retare con il credito sempre havuto, e questi consegnarli al sig.r Giacomo Mazzetti, acciò possi mandar a Milano subito le £ 200:30, et il resto tenerlo pronto per pagare li ordini, che mi occorressero, oltre le condute, che si dovranno fare per le base delle collone, che già sono in Genova, et li quatro cara, che si caricano qua a Como venerdì prossimo con altre due collone, et in apresso verso il fine della settimana seguente si mandarano li quatro secundi piedestali, con altri pezzi a quelli adherenti il tutto lavorato, solo di lustrare, e mi compatisca della briga e con riverirla sono Di V.S. M.to Ill.re et R.mo Servitore divot.mo Gio: Batta Bianchi (non datata ma prima del 7 giugno 1689) 6) 1698 8 marzo ASNo, Notarile, notaio Silvestro Tettoni, min. 7862. Convenzione fra Carlo Francesco Bianchi e Giuseppe Bellosso, priore e sottopriore della Confraternita del SS. Sacramento di Sizzano, Gaudenzio Bianchi, priore della Confraternita del SS. Rosario, il rev. Giovanni Battista Costantino Falciola, parroco di Sizzano e vicario foraneo, con Pietro Marchese fu Carlo e Pompeo Marchese fu Giacomo di Saltrio per la costruzione del tabernacolo di marmo dell’altare maggiore della chiesa parrocchiale di Sizzano come nel disegno sottoscritto dalle parti, consegnando l’opera dal pavimento della chiesa alla custodia e gradini dei candeglieri entro ottobre ed il resto entro settembre del 1699. La condotta dei marmi fino ad Oleggio, sulla sponda novarese del Ticino, erano a carico dei Marchese e dopo della chiesa, salvo l’assistenza ed eventuali rotture. La chiesa era anche tenuta a fornire ferramenti, piombo, gesso, muratori. La mercede convenuta era di 2900 lire e tre brente di vino rosso, di cui 400 lire in acconto, 200 lire entro la festa di S. Pietro ed il rimanente sulla base dell’avanzamento lavori. Il disegno, in possesso dei Marchese, doveva essere restituito al parroco entro il 1° maggio. Marmi: Carrara (base e capitelli delle colonne, cupolina, piedestallo del tabernacolo, decorazioni del piedestallo, il cherubinetto che va nella cupola nella faccia d’avanti, quattro modiglioni, basi e capitelli delle colonnette), macchia vecchia o ronchetto (sei colonne, sei cartelle della cupola), macchia vecchia (cimasa dei modiglioni, zoccolo), nero (sei controcolonne, architrave e cornicione, corpo dell’altare, architrave e cornici), ardesa (fregio del cornicione, telaio e cartelli), giallo di Verona (zoccolo sopra il cornicione, zoccoli, zoccolo della custodia), mischio di Francia (fregio, alcune decorazioni del piedestallo e cupola, due colonnette, fregio, peduzzetto), broccatello (gradini e bardella), alabastro cotognino (cornici del modiglioni). 36 7) 1700 28 maggio ASNo, Notarile, notaio Bernardo Parrucone, min. 4433. Convenzione fra Marco Mauro fu Gaspare e Carlo Gerolamo Calderara fu Carlo, abitanti a Milano, e Antonio Cavallino fu Melchione, tesoriere, e Benedetto Pirola fu Domenico fabbricere della chiesa parrocchiale di Fara per la costruzione dell’ornato di marmo della cappella della B. Vergine del Rosario, secondo il disegno sottoscritto dalle parti. Il Mauro e Calderara dovevano farla con tutta perfettione tanto per la lavoratura, come per il lustro, et anche per le connissure, et per la qualità de marmi, che sijno di bella vena, et senza diffetti entro il mese di settembre la parte dal pavimento della nizza di Nostra Signora sino al piano terra ed il rimanente entro il mese di marzo successivo, pagando anche la condotta dei marmi fino ad Oleggio. Questi dovevano essere scaricati verso Oleggio in modo che le barozze non debbano passare il porto del Ticino per prenderli ed i due marmorini dovevano anche assistere al trasporto da Oleggio a Fara et invigilare, che non si spezzi qualche marmo, et caso si spezzasse, debba ciò cadere a danno de detti sig.ri Mauro, e Calderara. In caso di ritardo nelle consegne dei lavori era stabilita una penale di 25 filippi per ogni volta. La fabbrica della parrocchiale doveva fornire ferramenti, piombo, gesso, muratori, letti, abitazione e utensili di casa per l’alloggio durante la posa. Il prezzo era stabilito in 1900 lire, di cui 300 lire di acconto. L’atto venne stipulato a Novara nella casa del notaio, alla presenza dell’ing. Michele Angelo Ravizzotto fu Giovanni Giacomo. Marmi: brocadello (bardella, zoccoletti sotto i cartelli); nero (modiglioni laterali, scalino dei candeglieri, fusto piedistallino, telaio e nicchia, architrave e cornice, ultimo frontespizio nel mezzo dell’ancona), bianco e rosso (base e cimasa del piedistallino sotto alle colonne), misto di Francia (intavolatura in detti piedestallini… relegati di bianco), bianco di Carrara (base e capitelli e campanelli ed altri intagli, intagli nel mezzo dell’ancona con i festoni laterali e due vasi), ronchetto (mezze colonne con il mambreto in un pezzo nero, fregio, finimento sopra il cornizzone), giallo di Verona (fondo tra colonne e nicchia), bianco (cartelletta sopra la nicchia) 8) 1700 28 maggio ASNo, Notarile, notaio Giovanni Antonio de Guglielmi, min. 2077. Accordo fra il fisico Antonio Maria Pallavicini, priore, e i giureconsulti collegiati conti e cav. Giuseppe Antonio della Porta e Giuseppe Antonio Cattaneo, fabbriceri deputati dalla Confraternita del Gonfalone nella chiesa della B.V. del Monserrato o della SS. Trinità di Novara, con Carlo Gerolamo Calderara per altare fare l’altare della Madonna del Monserrato. Il disegno era stato delineato da Pietro Francesco Prina, approvato dal provicario generale della Curia episcopale Odoardo Durio, era stato formato un modello, e nella congregazione della Confraternita del 16 aprile erano state valutate le varie offerte degli operai, eleggendo i soprascritti fabbriceri unitamente ad un tesoriere nella persona di Florio Zanotto. Non trovando un accordo fra il Calderara ed i fabbriceri sul prezzo, il Prina operò una mediazione e stabilì il contratto in 21760 lire ab eo arbitratis. Il disegno e modello, come la lista dei marmi, non potevano essere alterati senza il consenso dei fabbriceri ma erano escluse le due statue laterali, li quattro puttini isolati, et la nuvola che deve essere sotto la statua di nostra S.ra di Monserrato. Entro maggio e poi ad agosto dovevano essere consegnati marmi per un valore di 4000 lire e il Calderara avrebbe ricevuto 2000 lire. Allo stesso modo ogni pagamento doveva avere una consegna del doppio della cifra in marmi. I fabbriceri dovevano dare stanze e letti per gli operai ed anche un luogo dove poter lavorare al coperto, piombo, ferro, gesso, calce, mattoni e muratori. Il Calderara doveva pagare a Francesco Pozzo il lavoro fatto nel modelare le cere sopra il modello di legno. L’opera doveva essere approvata dal Prina come quello che ha fatto il dissegno. L’atto venne rogato nella casa del Pallavicino alla presenza del Prina. Allo stesso modo fu rogato l’atto del 21 giugno con cui Marco Mauro fu Gaspare, abitante a Milano, dichiarava di ricevere 2000 lire dal tesoriere della fabbrica Florio Zanotto, chiamando come fideiussore Giovanni battista Moneglia di Giovanni Paolo. Testimonte all’atto fu nuovamente il Prina. 37 Infine il 27 agosto la statua della Madonna, collocata sull’altare maggiore, venne processionalmente trasportata nella nicchia acciò si possi far gettar li fondamenti per d.i altare, et ancona, alla presenza degli ufficiali, dei confratelli e dei molti convenuti. Anche a quest’atto fu presente il Prina. Marmi: broccadello (gradini dell’altare), nero di Como (zoccoletto e cornicetta sopra i gradini dell’altare, mensa e scalini dei candeglieri, fusto del secondo piedestallo, cornici quali religano le apriture per dove si mettono le invetriate, alzata sopra il piedestallino), ronchetto (fusto del primo piedistallo, zoccolo sotto al secondo piedestallo, architrave, cornicione e frontespizio, cornice sopra l’alzata), alabastro leonato nostrano (intavolatura del primo piedistallo, basi e cornicione del secondo piedestallo, basi e cornicione del piedestalino sopra il cornicione, intavolatura in cima all’alzata), bianco di Carrara (rilegature varie, modiglioni sotto i piedestalli e sotto l’altare, l’historietta in detto altare, basi, capitelli e modiglioni sotto il secondo piedestallo, tre cartellette una sopra l’altra nel mezzo, sei modiglionetti sopra il cornicione, festoni, campanelli, fornimento sopra tutta l’opera, due urne sopra i due piedestalli), mischio di Francia (intavolatura del secondo piedestallo, due colonne tonde, intavolatura del piedistallino), occhiato (controcolonne o pilastri dentro e fuori, fregio, zoccolo sopra il cornicione, zoccolo sopra la cornice sopra l’alzata), bianco e rosso (fondi delle controcolonne o intracolumni), bardiglio (fusto del piedistallino). 9) 1701 27 agosto ASNo, Notarile, notaio Carlo Maria Colla, min. 3778 Convenzione fra i sindaci della chiesa parrocchiale di Trecate, con l’assistenza del parroco dott. in teologia Giovanni Giuseppe Finato, e Pompeo Marchesi fu Giacomo di Saltrio di fare una balaustra all’altare maggiore di pietra nera di Como cimasa e base in tre pezzi tutti interni ben comessi tra ciaschuna parte e pilastri di ronchetto del più bello di Rosio, come dal disegno di Pietro Francesco Prina, ben lustra in modo tale, che si vegga il specchio. Inoltre doveva fare anche quattro gradini di ronchetto o di brocadello ma ben colorito, della grossezza di oncie 3 1/2 ciascuno e grandezza d’onze sette. Il tutto doveva essere consegnato entro il mese di maggio 1702 al prezzo di di 60 lire al braccio per la balaustra e 5 lire e mezza al braccio per i gradini. Li pilastri devono havere li comessi cioè l’ovati di mezzo d’ardese, e li mezzi ovati di sotto e sopra di ronchetto del più bello con suoi profili di marmo di Carara. La condotta fino a Turbigo era a carico del Marchesi, come l’assistenza per il resto del trasporto, mentre la chiesa doveva fornirgli muratori, calce, ferro, piombo. In quella stessa occasione uno dei sindaci, Giovanni Giacomo Bosio fu Giovanni Andrea si impegnò a dare 350 lire a titolo di carità per contribuire alla spesa. L’atto ricorda anche come fosse stato stipulato un precedente contratto per fare la balaustra con Gerolamo Calderara e compagni ma erano già passati diversi anni senza che l’avessero mai realizzata per cui i sindaci si impegnavano entro 2 o 3 mesi a protestarli. L’atto venne stipulato a Trecate nella casa di Giovanni Battista Leonardi, testimone all’atto, cui entrambe le parti si affidavano in caso di controversie. Allegato vi è un foglio del 7 luglio 1702 con la misura della balaustra e dei gradini con il costo totale dell’opera stabilito in 1170 lire 7 soldi e 6 denari. 10) 1702 8 maggio Archivio Parrocchiale di Cavaglietto In riferimento ad un atto notarile del 25 gennaio 1701, Francesco Pozzo padre e Francesco figlio si accordano con i fabbriceri della chiesa parrocchiale per realizzare il tabernacolo dell’altare maggiore con scalini per i candeglieri e modiglioni laterali con sue casette et zoccoli abbasso per 2800 lire, l’alloggio durante la posa e due brente di vino. Nel contratto sono previste anche: due statue di stucco (con calce e materiali forniti dalla fabbriceria), una statua di marmo di Carrara con la Resurrezione di Nostro Signore sulla cima e, nel cartello sopra il cornicione, un bassoriglievo rappresentante lo Spirito Santo. 38 Marmi: broccatello (primo zoccolo), nero (base sotto il modiglione, scalino dei candeglieri con sui cornisi di varj colori, architrave e cornicione, croce), ronchetto (modiglione, zoccolo sotto alla colonna, finimento dello zoccolo sopra il cornicione), di Carrara (cartella, basi e capitelli delle colonne, cartelli, festoni ed altri ornamenti), misto di Francia (intavolatore, fregio), bianco (custodia), biallo di Verona (zoccoletto sotto alle base delle colonne, zoccolo sopra il cornicione). 11) 1705 5 maggio ASNo, Notarile, notaio Giovanni Antonio de Guglielmi, min. 2078 Conti della Confraternita del Confalone di Novara con Florio Zanotto, tesoriere della fabbrica dal 16 aprile 1700 al 29 aprile 1702. Si segnalano nelle entrate (totali lire 3129, 14 soldi e 6 denari): da m.r Francesco Clerici per elemosina 633 lire; 24 luglio 1700 da sig.r P.Fr. Prina pittore, et architetto per elemosina £ 70. Nelle uscite (totali lire 2966, 11 soldi e 6 denari): giugno 1700 agli operai Marco Mauro e Calderara compagni lire 2000; 22 luglio 1700 a detti per lista legnami, chiodi e fattura della cassa e pianta per mettere dentro il modello per portarlo a Milano £ 21.10; 22 luglio 1700 a Carlo Porta per il modello lire 212.1.6; 22 luglio 1700 a Pietro Francesco Prina per il disegno dell’altare lire 175; 12 settembre 1700 a masto Simone Primo per n. 5590 pietre mezzanelle per il fondamento di detto altare £ 92; il 6 dicembre a Gerolamo Calderara lire 200 per l’ancona ed altre 200 lire l’8 marzo 1701. 12) 1706 12 agosto ASNo, Notarile, notaio Michel’Angelo Bianchi, min. 4434. Polizza fra i Padri di S. Francesco di Novara e lo scultore Francesco Pozzo, e Francesco suo figlio, per fare con regola di buon dissegno e dell’arte di perito scultore una nuvola, che deve servire per l’altare di S. Francesco nella sudetta chiesa di Novara quale deve servire per base, e sovrastatione di due angeli, che tengono una croce (di altezza oncie 16, larghezza 35 e profondità 11) di alabastro di Viggiù della qualità che si vede nell’intavolatura de piedestalli al di dietro dell’altare della chiesa del Monserrato o a S. Gaudenzio all’altare della Madonna di Loreto. Inoltre dovevano fare due angeli di marmo di Carrara in proporzione di buon dissegno di 25 oncie, il finimento sopra la custodia di marmo nero e la mostra dello scalino di marmo nero per sostenere l’opera la custodia di marmo. Il compenso era fissato in 1200 lire e l’opera doveva essere completata entro il 1700. L’approvazione doveva essere data dal can. Filippo Avogadro confidente d’ambe le parti. 13) 1708 16 ottobre Archivio Parrocchiale di Cavaglietto Convenzione tra il curato Pietro Francesco Andreino, Domenico Vercelli, priore, Carlo Giuseppe Severico, sottopriore, e Domenico Severico, tesoriere, della Confraternita del SS. Sacramento di Cavaglietto con mastro Bernardo Giudice fu Marc’Antonio di Saltrio per fare la balaustra nella chiesa parrocchiale da mettere in opera entro l’inizio del 1709. Il compenso era fissato in 500 lire, aumentabili a 600 quando esso operario, o suoi heredi meritassero qualche cosa di più secondo la stima di periti. Ai deputati di Cavaglietto spettava l’onere del trasporto dei marmi dal porto di Oleggio ma al Giudici il consegnare il tutto sano a Cavaglietto. Marmi: nero di Como (piedistallo, cimasa e pilastrelli con dentro li suoi cornissi di varij collori fini), broccatello (colonnette e scalini o basselli). 39 14) 1719 18 agosto ASNo, Notarile, notaio Giovanni Pietro Fassina, min. 3858. Convenzione fra il monastero di S. Agata di Novara, rappresentato dalla badessa Barbara Ippolita Trevi, con licenza del Vicario generale del 3 agosto, e Francesco Pozzo fu Francesco per fare, e dare in opera entro il 15 dicembre 1721, l’ancona, l’altare ed il tabernacolo della chiesa del monastero, secondo il modello fatto di cera posto sopra un asse firmato di propria mano di detto s.r Pozzo, che resta presso detta R.da Madre Abbadessa. Il contratto prevedeva una serie di marmi ed anche tre ornamenti di rami indorati, e la realizzazione sopra il cupolino del tabernacolino di una statueta di N.S. risorgente di bronzo, et anche due statuete di puttini pure di bronzo alli lati di detto tabernacolino, come pure sarà tenuto far qualche altra figura alla detta custodia, la di cui porta dovrà esser di rame. Il Pozzo doveva provvedere ad ogni cosa (trasporti, murature, ferramenti, ecc.). Il costo dell’opera era stabilito in 4200 lire, 600 lire da pagare entro il 15 settembre, 400 lire alla condotta dei gradini dell’altare, 1000 lire una volta in opera l’altare, il tabernacolo ed il piedestallo con il cornicione della ferrata con la ferrata medema, e 2400 lire in seguito. L’opera doveva essere fatta a tutta perfezione isenza gionta alcuna, e tasselli. Il documento venne redatto fra le parti senza la presenza di testimoni e registrato in seguito dal notaio. Marmi: macchia vecchia (zoccolo sotto i modiglioni), bianco e rosso di Arzo (modiglioni, contrapilastri, due cartelli dei pilastri, cartello, finimento in cima), nero (fondi che ataca alli modilioni, cornice sopra i modiglioni, scalini dei candelieri, custodia, piedistallo e cimasa della custodia, cornicione, cupolino, pilastri incanalito, cimasette sopra i piedestalli dei pilastri, telari con ornamenti di rame adorato, cornicione sopra i pilatri), mischio di Francia (cornici, fregi vari), ardese (dado degli scalini), broccatello di Spagna, alabastro di Torino, diaspro di Sicilia (cimasa), di Carrara (rilegature della cimasa, basi e capitelli delle colonne), alabastro (dado sopra il cornicione), ronchetto (piedistalli dei pilastri), bianco (basi dei pilastri, testine con raggi di rame indorato). 15) 1725 26 aprile ASNo, Notarile, notaio Gaudenzio Agostino Cattaneo, min. 2052. Convenzione fra i fabbriceri della chiesa parrocchiale di Mosezzo e Francesco Pozzo, cittadino di Novara, e Giovanni Giudice di Saltrio che assume l’onere di costruire l’altare maggiore di marmo della chiesa parrocchiale di Mosezzo, secondo il disegno fatto dal Pozzi e accettato dai fabbriceri, assumendosi anche l’onere della condotta dei marmi, per la somma di 750 lire (acconto di 150 lire, prima rata di 200 lire a fine maggio, altre 200 quando il Giudice comincerà a far condurre parte dei marmi, saldo alla fine dell’opera). Patto che detto sig.r Pozzi sij tenuto a sue spese fare li duoi festoni laterali sotto li modioni. Marmi: broccatello di Arzo (scalini), macchia vecchia (zoccoli), nero di Como (base, cimasa, scalini, custodia, pilatri della custodia, fondo dell’alzata della custodia), di Carrara (ornamenti negli scalini), broccatello di Spagna (ornamenti nel mezzo degli scalini), bianco e rosso di Arzo (modiglioni, cartelle della custodia, quattro cartelle), mischio di Francia (giro a detti scalini, decorazioni), giallo di Verona (zoccolo sopra la prima cornice), di Carrara (decorazioni e legature del fondo dell’alzata della custodia), brocatello di Francia (decorazioni nel mezzo dell’alzata della custodia). 16) 1727 2 ottobre ASNo, Notarile, notaio Giovanni Antonio Galvagna, min. 3796. Convenzione fra la Confraternita. del SS. Rosario di Vespolate e Carlo Cesare e Giacomo, padre e figlio, Pellagata di Viggiù per fare un altare di marmo con sua ancona pure di marmo alla capella della B.V. Maria del S.mo Rosario di detta Ven.da Compagnia conforme il disegno che resta presso detta Ven.da Comp., da terminare entro il 15 settembre 1728, con i marmi 40 fatti a perfezione come si vedono li modiglioni e scalini dell’altare maggiore. I marmi dovevano essere consegnati a Malnate; la spesa totale era di 800 lire (150 lire di acconto, 300 lire a Pasqua e 350 lire alla fine dell’opera). Marmi: 17) 1727 27 novembre ASNo, Notarile, notaio Giovanni Antonio Galvagna, min. 3796. Convenzione fra il padre lettore Reginaldo Orelli dei padri di S. Domenico (S. Quirico) e Carlo Cesare Pellegata fu Andrea di Viggiù e mastro Giovanni Giudice fu Battista di Saltrio di fare due ballaustre una all’altare di S. Vincenzo Ferreri, et altra all’altare di S. Pio nella chiesa di detto monastero, quali ballaustre devono essere di marmo conforme a quelle dell’altare di S. Giuseppe, e dell’istessa qualità… non sijno tenuti dare li marmi della stessa macchia e perfezione, però debbano essere di buona qualità, da terminare entro il 1728. Il costo dell’opera era di 450 lire (200 lire di acconto e 250 alla fine), oltre al vitto durante la posa. 18) 1732 28 luglio ASNo, Notarile, notaio Carlo Gerolamo Caccia, min. 4469. Convenzione fra la Canonica di Santa Maria delle Grazie fuori Novara, rappresentata dall’abate Paolo Giuseppe Asinio, e Carlo Giuseppe Buzzi fu Francesco di Viggiù abitante a Novara per costruire un’ancona all’altare della B.V. delle Grazie, come da dissegno, et instruzione, e consegnarla entro il 15 agosto 1733, per un compenso di 1400 lire (440 lire di acconto, metà del rimanente alla prima condotta dei marmi e metà alla fine e collaudo dell’opera). Si rende garante per il Buzzi, Giovanni Battista Buzzio fu Pietro Antonio, abitante a Novara. 41